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Le dimissioni di Claudine Gay e la crisi di Harvard

by Vincenzo Pascale, New York
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Ph. Jacob Rus CC-BY-SA 2.0

 

La caduta o, per essere più puntuali, le dimissioni di Claudine Gay da Presidente di Harvard, una delle grandi istituzioni accademiche americane con una estensione globale, non è cosa di poco conto. La tenure alla presidenza di Harvard, la più breve nella storia, è durata dal 1° luglio 2023 al 2 gennaio 2024. Sono dimissioni che pesano ed avranno lunghi strascichi politici ed accademici sull’istruzione superiore americana.

Succeduta a Larry Bacow, presidente dal 2008 al 2023, è stata scelta dalla Corporation, il nucleo di donatori e filantropi che regge l’istituzione Harvard. Un gruppo spesso accusato di elitismo e di operare con poca trasparenza. Alcuni di essi nominati dal Presidente Obama, altri accedono al seggio della Corporation mediante sostanziose donazioni. Claudine Gay, già professore ad Harvard di studi afroamericani ed ex Decana dell’area accademica Arts and Science, vanta un curriculum accademico di pubblicazioni non notevole (11 articoli in 26 anni di accademia. Fonte The New York Times). Secondo i detrattori selezionata per ottemperare allo spirito di DEI (Diversity, Equity, Inclusion), considerato il fatto che al top delle Ivy League la presenza di minoranze e afroamericani è molto esigua. Questo il quadro, senza tralasciare i tempi molto brevi della sua selezione come presidente. In genere per una carica apicale di una Ivy League può trascorrere anche un anno o più.

I fatti. All’indomani del 7 ottobre in molti campus universitari USA, soprattutto quelli considerati più liberals ed aperti alla cultura woke, si sono tenute manifestazioni pro-Palestina ed in molti casi attacchi verbali, minacce e attacchi fisici a studenti ebrei. Soprattutto è emerso un forte antisemitismo da parte di molti dei manifestanti pro-Palestina senza che le istituzioni accademiche abbiamo preso posizioni attive per condannare questi atti e perseguire i casi di antisemitismo. Una commissione parlamentare nazionale chiese la testimonianza di tre Rettrici ove più acuti erano stati gli atti di antisemitismo: la presidente dell’Università della Pennsylvania (Liz Maggil), la Presidente del MIT (Sally Kornbluth) e la ex presidente di Harvard Claudine Gay. La loro testimonianza di fronte alla commissione parlamentare non fu un esempio di fair treatment verso i casi di antisemitismo. Alla precisa domanda dell’onorevole Stefanisk (Repubblicana, Alumni Harvard 2006) se le minacce verbali di antisemitismo costituiscono una violazione del codice di condotta di Harvard, la risposta fu: it depends. Dipende. Risposta sulla quale i repubblicani hanno creato il loro case study e vinto due dimissioni su tre.

Questi sono i fatti. Seguono i corollari e lo stato comatoso che queste dimissioni genereranno nelle Ivy League e nel sistema universitario USA. A questi fatti si sono aggiunte le accuse di plagio accademico che la Presidente Gay avrebbe operato durante la sua stesura della tesi di dottorato. Un fatto non di poco conto, che ha aggravato la sua posizione facendola considerare ulteriormente inadatta per la Presidenza di Harvard.

Sotto attacco politico è il sistema di selezione nei posti apicali delle maggiori università USA indotto dalla pratica DEI. Per sommi capi: visto che tante minoranze sono state nel corso della storia accademica delle Ivy League (ma non solo) discriminate, bisogna sanare questi gap politici e culturali e promuovere una nuova visione della selezione dei posti apicali. Ricordiamo che la stessa Harvard ha capitalizzato (secoli fa) sul commercio degli schiavi. E’ ovvio che si è avviato uno scontro tra politica (soprattutto i repubblicani) e le istituzioni accademiche più liberals, aperte alla cultura woke e appieno dentro l’agenda DEI. Aspettando l’evolversi politico della disputa Congresso/Ivy League Universities, Harvard registra un calo delle immatricolazioni del 17% per l’anno 2025. Sarà un calo momentaneo o qualcosa sta per incrinarsi in una delle istituzioni accademiche americane considerate la via principale d’ingresso alle élites globali?  Elites che ancora guardano al sistema educativo superiore degli Stati Uniti.

Eppure qualcosa va mutando. Non parliamo della corsa ad accaparrarsi un posto da studente universitario nelle Ivi Leagues (competizione feroce e che crea non poco stress ai giovani applicanti). Ci riferiamo alla posizione che l’Istituzione accademia percepisce di se stessa, attraverso la Corporation ed il potente nucleo di accademici. Harvard si percepisce come brand. Niente di più errato. Un brand è una marca (magari prestigiosa), una super auto di lusso, un gioiello. L’Accademia è una istituzione. Muoverla a brand significa esporla alla commodificazione. Può essere acquisita (scalata), comprandone l’appartenenza. Come si compra una Ferrari o una Bugatti. Una istituzione è nella natura delle cose. Può essere modificata, ma non translitterata, considerata altro. Essa dovrebbe ritenere una dose (più o meno alta) di sacralità che ne perpetua l’utilità sociale ed umanitaria. E’ nel corso della sua storia (accademica e non) che l’istituzione evolve e abbraccia nuovi messaggi da inclusione. Immutata rimane la sua missione.