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I fatidici inverni del Regno di Napoli

by Federico L.I. FEDERICO
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Il periodo invernale, a partire da quello natalizio, ha segnato la Storia di Napoli e del suo Regno in due occasioni fondamentali. Forse proprio nel giorno di Natale dell’anno 1130 i Normanni unificarono il Regno del Meridione d’Italia e, quasi otto secoli dopo, il 27 di dicembre dell’anno 1894 morì ad Arco di Trento il Re spodestato Francesco II, ultimo re del Regno delle Due Sicilie.

Un’altra data di pieno inverno ricorda poi la caduta di Gaeta, ultimo baluardo campano contro l’aggressore Re Vittorio Emanuele II di Savoia, il quale divenne poi Re d’Italia nel 1861, poco dopo che il Parlamento rinnovato, con Camillo Cavour primo ministro, si fu riunito nella sua prima seduta, con deputati di tutte le regioni annesse tramite un plebiscito-farsa, il 18 febbraio 1861.

Insomma il trimestre invernale tra dicembre e febbraio, fatidico per la storia di Napoli e del Meridione d’Italia, vede la nascita e la morte del Regno di Napoli, durato circa otto secoli, compresa la scomparsa terrena del suo ultimo re Francesco II di Borbone, oggi Servo di Dio, cioè in predicato di possibile Santità.

Aggiungiamo soltanto che Re Francesco II, chiamato affettuosamente dai napoletani e dai suoi “regnicoli” meridionali Franceschiello – non certo per irriverenza – si trovava nel Trentino da clandestino, perché Re in esilio che non aveva rinunciato al Trono di Napoli, sotto le mentite spoglie di un tal Francesco Fabiani, Duca di Castro.

Matilde Serao, in un articolo apparso sul Mattino del 29 dicembre 1894, scrisse così: “Giammai principe sopportò le avversità della fortuna con la fermezza silenziosa e la dignità di Francesco II. Detronizzato, impoverito, restato senza patria, egli ha piegato la sua testa sotto la bufera e la sua rassegnazione ha assunto un carattere di muto eroismo. Galantuomo come uomo e gentiluomo come principe ecco il ritratto di Don Francesco di Borbone”.

Tra i tanti lasciti di Francesco II di Borbone ricordiamo soltanto un breve stralcio dal suo Proclama ai Napoletani dalla fortezza di Gaeta assediata e bombardata ogni giorno.

Egli scrisse: Io sono Napoletano, nato fra voi, non ho respirato un’altr’aria, non ho visto altri paesi, non conosco altro suolo, che il natale. Tutte le mie affezioni sono nel Regno; i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua è la mia lingua, le vostre ambizioni sono le mie ambizioni.

Ci piace soffermarci sulla sua affermazione: la vostra lingua è la mia lingua.

Possiamo davvero affermare che chi difende e promuove la lingua napoletana è da incoraggiare e sostenere al di là di tutto e tutti, indipendentemente dalla autorevolezza dei protagonisti. Tra gli organismi protagonisti c’è l’Accademia Napoletana, un’associazione guidata da anni da Massimiliano Verde, allievo ed erede culturale del grande Carlo Iandolo.

Verde – sulla scorta degli insegnamenti di Carlo Iandolo e Raffaele Bracale – opera non soltanto sul suolo italiano, essendo collegato con le realtà linguistiche sudamericane e nordamericane, oltre che con altri paesi europei e non solo. Ha promosso, ad esempio, finora purtroppo inascoltato, l’insegnamento della lingua napoletana nelle scuole statali di Napoli e della Campania.

L’Accademia Napoletana fu protagonista nel 2017 del “Primo corso di lingua e cultura napoletana” patrocinato dal comune di Napoli. Oggi si muove efficacemente anche presso l’UNESCO, essendo Verde un interlocutore riconosciuto dal massimo organismo internazionale. In un comunicato stampa recente l’Accademia napoletana scrive: Rileviamo l’assenza di misure istituzionali concrete per salvaguardare e soprattutto insegnare la lingua napoletana e difendere la dignità sociale dei suoi parlanti troppo spesso non rispettata dai mass-media e dal sistema culturale italiano… (fictions, soap operas, films, ecc.).

Chiudiamo l’articolo ricordando la pubblicazione, nel 2018, del “I° Vocabolario del dialetto napolitano” di Emmanuele Rocco, opera incompiuta per la morte dell’autore Rocco nel 1892. E’ una iniziativa in sé certamente positiva, ma la promotrice è stata l’Accademia della Crusca, fiorentina per antonomasia. E ciò ci lascia non poco perplessi.

Ma riconosciamo la opportunità della istituzione del Comitato tecnico scientifico regionale per la salvaguardia e la valorizzazione della lingua napoletana. Noi riteniamo infatti che il rifiorire della primavera napoletana, non solo in termini turistici, ma anche culturali – compresa la produzione musicale e canora – dovrebbe suscitare maggiore e più concreto interesse ai livelli politici regionali.

E, non solo regionali, se si considerano opportunamente la valenza dei quasi otto secoli di vita del Regno napoletano nella storia dello Stivale italiano.