Il meccanismo europeo di stabilità (MES) è diventato la nuova pietra angolare della inaffidabilità italiana in Europa. Con questo trattato l’Unione sta provando a scrivere le regole per costruire una rete di protezione in caso di attacchi convergenti dei mercati finanziari contro uno dei Paesi membri.
Si possono discutere i criteri adottati ed i meccanismi di funzionamento, ma questo passaggio è una esigenza assolutamente prioritaria per una Unione che intenda rinsaldare le fila di una cooperazione rafforzata. In questi anni si è negoziato lungamente il MES, già all’epoca dei governi di centrodestra a guida di Silvio Berlusconi. Non siamo in presenza di un fungo che è spuntato improvvisamente dopo un temporale estivo.
Il Consiglio Europeo ha approvato il trattato del MES e tutti i parlamenti nazionali, ad eccezione dell’Italia, lo hanno ratificato. Entro la fine dell’anno era prevista l’entrata in vigore delle nuove regole.
Per il governo italiano, come purtroppo accade troppo spesso alle nostre scelte di politica internazionale, il MES ha costituito una occasione identitaria sul fronte interno. Da un duplice punto di vista: per contrapporsi allo schieramento politico avverso e per avviare una competizione interna tra le forze di maggioranza.
L’esito è catastrofico. Abbiamo minacciato sfracelli e stiamo raccogliendo le pive nel sacco. Giorgia Meloni ha prima praticato la strada del compromesso globale: brandire l’arma della mancata ratifica del MES per alzare il prezzo nella trattativa sulla riforma delle regole di stabilità. La mossa non è riuscita perché Germania e Francia sono andate a vedere il bluff, e nemmeno l’ipotesi fantasiosa di mettere il veto alla proposta di accordo sui nuovi parametri è riuscita a fermare la determinazione franco-tedesca. Anche il secondo bluff è stato smascherato senza alcuna difficoltà.
A questo punto il cerino è rimasto in mano al governo Meloni. La Camera dei deputati ha bocciato il MES, con un voto trasversale: Forza Italia si è astenuta, mentre i cinque stelle si sono aggregati alla maggioranza. A distanza di poco più di un anno dall’inizio della sua esperienza di governo, Giorgia Meloni ha bruciato tutto il capitale di credibilità che aveva costruito nei primi mesi ereditando anche il positivo effetto reputazionale di Mario Draghi.
Il Ministro dell’economia, Giancarlo Giorgetti, informalmente ha fatto capire che gli alleati europei ci faranno pagare il balletto che abbiamo messo in campo. Non è la prima volta che la destra di governo si gioca le sorti sulla postura europea. In fondo tutta questa storia comincia con l’ultimo governo di Silvio Berlusconi.