«La valutazione economica e sociale della disuguaglianza solleva molti dilemmi. Spesso le disuguaglianze più corpose sono difficili da difendere invocando un qualche modello di “equità”. In Adam Smith la preoccupazione per gli interessi dei poveri (ma anche l’indignazione per la tendenza a trascurarli) si associa a un esperimento mentale: che ne penserebbe uno “spettatore imparziale”? Nasce così un’indagine che propone intuizioni molto acute sui requisiti del giudizio sociale equo. In modo analogo, l’idea rawlsiana di una “giustizia come equità”, definita in base alle scelte prevedibili in un’ipotetica “posizione originaria” in cui gli individui non sanno ancora chi saranno, ci fa capire molte cose su tali requisiti e produce quei caratteri di opposizione alle disuguaglianze tipici dei suoi principi della giustizia. Può anche essere difficile giustificare certe sfacciate disuguaglianze degli assetti sociali sostenendo che per chi è realmente presente nella società esse sono ragionevoli (per esempio con l’argomento che “non possono essere ragionevolmente respinte”). Certo le disuguaglianze molto accentuate non sono socialmente attraenti, e qualcuno direbbe che quelle più drammatiche sono pura e semplice barbarie; inoltre, la loro percezione può compromettere la coesione sociale, e certi tipi di disuguaglianza possono rendere difficile da raggiungere anche l’efficienza.»
Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà.