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Juliano. Figlio di un’altra Napoli e di un altro Napoli

by Vito Nocera
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A Juliano non sempre hanno steso tappeti di fiori durante la sua carriera. A 36 anni suonati dovette soffrire molto nel fare le valigie perché’ ceduto al Bologna. Questo napoletano atipico, orgoglioso, schietto ma taciturno, è stato la vera bandiera azzurra degli anni di un calcio epico ormai piuttosto lontano. Allora se la giocava con gli altri grandi centrocampisti italiani. Ma tra tutti, a pensarci ora, era il più moderno e completo. Rivera, il migliore, faceva pochissima interdizione. Mazzola, il più veloce, era capace di segnare dopo rapidissimi dribbling verticali. Bulgarelli e Picchio De Sisti, un po’ come Totonno, avevano la pazienza di ricucire il gioco. Nessuno però come Juliano faceva entrambe le fasi, quella di contrasto e quella di impostazione. Completo, quasi un interno all’inglese. E infatti lo accosterei più a Lampard e Gerrard che agli italiani.

Un po’ inglese era anche il suo stile, il bel volto giovanile, i capelli folti ben tagliati. Non ricordo mai di averlo visto sembrare anziano. E anche il carattere. Forte, a tratti aspro, anche pungente, ma mai sopra le righe. Poche polemiche e tanti fatti, sia da giocatore che poi da dirigente.

Lui e Vincenzo Montefusco erano i due fuoriclasse napoletani, simili anche se Enzo con qualche propensione offensiva in più. Montefusco forse gli era anche leggermente superiore sul piano tecnico ma il carattere di Antonio fece la differenza. Forse l’origine sociale modesta, infanzia e adolescenza in quel di S. Giovanni a Teduccio, conferirono a Juliano quella serietà che gli è sempre stata propria. Del resto erano gli anni in cui a S. Giovanni c’erano le fabbriche e migliaia di operai. Cirio, Snia Viscosa, Mecfond. E c’era una classe operaia protagonista politica e civile. Nessuna meraviglia che, cresciuto in quel contesto, Juliano ne avesse in parte come se assunto il segno.

Da dirigente fu capace dei grandi colpi che sappiamo, lui però negli anni ‘80 già ci stava male. Quel mondo di compostezza civile e lotta sociale stava per declinare. Antonio Juliano forse non si abituò mai a quel mondo e a quel calcio nuovo. A quella Napoli dove ormai – come altrove – contavano più le operazioni finanziarie che le fabbriche e la produzione. Il suo bel volto, anche in età avanzata, trasmetteva trattenuta amarezza, capivi che non era felice. E’ stato appieno un figlio del suo tempo, di un’altra Napoli e di un altro Napoli.

Aveva cominciato in “b” agli inizi degli anni ‘60. Lì lo abbiamo visto giocare – mio padre ed io soffrendo sugli spalti del S. Paolo – in gare difficili con Triestina, Brescia o Lecco e Pro Patria. Ad anni ‘70 quasi finiti ancora era in campo, fino a quell’esilio di un anno a Bologna. Poi gli scarpini al chiodo.

Che Antonio Juliano avesse 80 anni è una cosa madornale, uno sproposito. Che poi addirittura sia morto è insopportabile.