Nel 1964 entrò in funzione la centrale nucleare del Garigliano a Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. La SOGIN è la società pubblica che ne sta curando lo smantellamento. Una realtà poco nota e spesso dimenticata. Per dare conto del relativo stato dell’arte abbiamo fatto alcune domande al task manager che se ne sta occupando, Alfonso Maria Esposito.
Le attività di smantellamento sono iniziate solo nel 2000. Tempi lunghissimi.
L’Italia è uscita dal nucleare nel 1987 quando le centrali di Trino, Caorso e Latina hanno cessato la loro attività. La centrale del Garigliano si era invece già fermata nel 1982. Questi impianti negli anni successivi sono stati tenuti in sicurezza. Nel 2000 la nascita di Sogin ha quindi avviato le attività preliminari al decommissioning di queste centrali, a cui, negli anni successivi, si sono poi aggiunti 5 impianti legati al ciclo del combustibile nucleare. Questa è la nostra sfida, consapevoli delle difficoltà che incontreremo. Nei primi anni le attività si sono concentrate, come buona prassi internazionale, sull’allontanamento del combustibile, la principale fonte di radioattività presente sugli impianti.
A tal riguardo si ricorda che sono state allontanate dal Garigliano tutte le barre di combustibile che erano presenti riducendo di moltissimo i fattori di rischio relativo.
Contemporaneamente è partita la progettazione degli interventi atti a realizzare il decommissioning dell’impianto stesso (compreso l’avvio dei relativi iter autorizzativi). Oggi, ottenute le necessarie autorizzazioni, stiamo per affrontare la fase più complessa delle attività: lo smantellamento del reattore.
Tutto ciò che smantellate diventa rifiuto radioattivo?
Niente affatto. Il nostro impegno è anche quello di minimizzare al massimo la produzione di rifiuti radioattivi. Le faccio un esempio. Con lo smantellamento del camino della centrale sono state prodotte 830 tonnellate di materiale, di cui 800 di cemento e 30 di metallo, che dopo gli opportuni controlli sono stati rilasciati come materiali convenzionali. I rifiuti radioattivi prodotti sono stati solo 7 metri cubi, pari a circa 10 tonnellate.
Lo smaltimento dei rifiuti come e dove avviene?
Nei depositi temporanei della centrale del Garigliano sono stoccati in sicurezza circa 3.000 metri cubi di rifiuti radioattivi provenienti dal passato esercizio dell’impianto e dalle successive attività di mantenimento in sicurezza e decommissioning. Questo volume naturalmente varia col progredire delle attività di smantellamento e alla fine del nostro lavoro saranno prodotti complessivamente circa 6.500 metri cubi di rifiuti.
Ricordiamo che i depositi temporanei della centrale non sono la soluzione definitiva. È infatti necessario realizzare il Deposito Nazionale, una struttura idonea al conferimento in via definitiva dei rifiuti di bassa e media attività in attesa del loro decadimento radioattivo. Ovviamente, una volta trasferiti tutti i rifiuti radioattivi al Deposito Nazionale, i depositi temporanei del sito verranno smantellati.
Lo scorso novembre è stato smantellato il camino della centrale. Perché è stato un intervento così importante e quali sono state le soluzioni prototipali adottate?
Lo smantellamento del camino ha aumentato la sicurezza ambientale del sito del Garigliano, obiettivo primario nel nostro lavoro. Il camino, alto 95 metri, convogliava gli effluenti gassosi in atmosfera e da sempre ha caratterizzato lo skyline della centrale. La sua demolizione è stata anticipata da una serie di attività che hanno garantito la totale sicurezza in ogni fase dei lavori. All’inizio abbiamo consolidato la struttura e impermeabilizzato le aree di cantiere. Successivamente abbiamo collaudato i sistemi e i macchinari in un’apposita struttura di prova, un mock up alto 12 metri, prima del loro reale utilizzo. Quindi sono iniziate le operazioni di scarifica delle pareti interne del camino attraverso un robot di tecnologia made in Italy, progettato e costruito allo scopo. Il robot, manovrato dall’esterno, ha permesso di rimuovere progressivamente strati sottili di calcestruzzo, debolmente contaminati, dalle pareti interne del camino per uno spessore massimo di circa un centimetro.
Durante i lavori il flusso dell’aria all’interno della struttura è stato regolato attraverso specifiche serrande che hanno evitato la dispersione all’esterno di detriti e polveri. A decontaminazione ultimata è stato possibile procedere alla demolizione del camino. La tecnica adottata è stata la frantumazione controllata, la più idonea per garantire la massima sicurezza tenuto conto anche della vicinanza di altre strutture come l’edificio reattore.
Cosa resta da fare?
Nel 2018 prevediamo l’apertura dello schermo biologico del vessel, il grande recipiente in pressione che contiene il nocciolo del reattore nucleare. É’ il primo passo che ci porterà allo smantellamento del cuore dell’impianto nucleare, che, come le accennavo prima, è l’attività più complessa del programma di decommissioning.
Gli attuali programmi prevedono di raggiungere la condizione di brown field della centrale del Garigliano fra una decina d’anni. A quel punto, con la disponibilità del Deposito Nazionale, i rifiuti radioattivi saranno allontanati e il sito potrà quindi essere riportato a green field, ovvero a una condizione priva di vincoli radiologici che consentirà il suo riutilizzo.
Tenga però presente che, come indicato in una prescrizione del Decreto di Compatibilità Ambientale VIA, saranno conservati l’edificio turbina e l’edificio reattore, progettati dall’ingegner Morandi, in quanto dichiarati patrimonio architettonico.
Per molti anni rimarranno quindi stoccati presso la centrale significativi quantitativi di rifiuti radioattivi. Quali sono le misure che garantiscono la sicurezza anche in caso di eventi eccezionali, come ad esempio un terremoto?
I rifiuti radioattivi sono da sempre custoditi in sicurezza nella centrale del Garigliano. Negli ultimi anni, per portare avanti le attività di smantellamento, sono stati realizzati due nuovi depositi temporanei. Il primo è stato ricavato dalla ristrutturazione dell’edificio che ospitava l’impianto diesel d’emergenza, mentre il secondo è stato realizzato ex novo. Questi depositi sono stati progettati e realizzati per resistere, ad esempio, a eventi sismici, allagamenti, incendi e perfino all’impatto di un aeroplano e rispondono ai migliori standard internazionali e alle norme di sicurezza emanate dall’Autorità di controllo ISPRA.
Il lavoro che state svolgendo richiede l’utilizzo di grandi professionalità. Ci vuole descrivere il team tecnico che la Sogin impiega sulla centrale?
Nella centrale del Garigliano lavorano circa 60 tecnici tra cui fisici, ingegneri, chimici, esperti di radioprotezione, tecnici di laboratorio, la cui elevata professionalità garantisce che tutte le operazioni vengano svolte in sicurezza. A tal proposito le segnalo che lo scorso anno l’IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, ha dato un giudizio positivo sul programma generale italiano delle attività di decommissioning, fra cui naturalmente anche quelle che portiamo avanti nel nostro impianto.
Che impatto ha avuto sul territorio il vostro lavoro? Come reagisce la popolazione?
Svolgiamo il nostro lavoro in maniera sostenibile e responsabile. Guidati da trasparenza, informazione e coinvolgimento abbiamo consolidato la fiducia dei nostri interlocutori e, in generale, della popolazione. Il più grande evento di condivisione con i cittadini è l’Open Gate, iniziativa di apertura al pubblico dei nostri impianti nucleari. L’appuntamento, dopo la prima edizione del 2015, è stato replicato in un weekend di maggio del 2017 e ha confermato il suo forte appeal fra i cittadini con oltre 3.000 partecipanti complessivi. Un sondaggio condotto ci ha dato evidenza del grado di soddisfazione per l’iniziativa e ben il 99% si è augurato che l’Open Gate venga riproposto.
Naturalmente ci sono poi tante altre iniziative che confermano il nostro impegno nel garantire un rapporto continuativo con il territorio, coinvolgendo, fra gli altri, istituzioni, enti, stampa, associazioni ambientaliste e mondo accademico. Tra questi, i Tavoli della Trasparenza convocati dalla Regione Campania, le visite all’impianto, gli incontri con le imprese locali svolti lo scorso anno per presentare il nostro piano di committenza e il sistema di qualificazione dei fornitori.
La collaborazione con gli Enti di controllo, nazionali e regionali, è stata proficua? E in particolare che ruolo ha svolto ARPA Campania e con quali risultati?
Tutte le attività che Sogin svolge sono autorizzate dagli Enti, locali e nazionali, preposti a sovrintendere, ognuno per la parte di propria competenza, allo svolgimento del decommissioning e alla gestione dei rifiuti radioattivi. In particolare, l’ARPA Campania, così come le altre Agenzie regionali, svolge un ruolo essenziale nelle campagne di monitoraggio ambientale. Consideri che ogni anno effettuiamo centinaia di misure sulle matrici alimentari e ambientali che compongono la rete di sorveglianza del sito. L’ARPA Campania provvede a svolgere un’analoga attività con una propria rete. Da sempre, i risultati delle analisi e i valori delle formule di scarico confermano impatti ambientali radiologicamente irrilevanti. Significativa, in questo ambito, la visita alla centrale nel dicembre scorso di Stefano Sorvino, Commissario straordinario dell’Agenzia. Un’occasione di dialogo e confronto sul progetto di smantellamento dell’impianto.
di Redazione