«Oggi siamo spettatori ancora incoscienti e incerti di una rottura epocale: quella della crisi innescata dal capitalismo globalizzato all’interno di sistemi democratici che ne hanno permesso la nascita, favorito lo sviluppo, e che, come apprendisti stregoni, si sono fatti rubare il fuoco.
La prima globalizzazione, quella degli anni 1880-1914, ha scosso la prima democrazia del mondo, ma in nome di valori democratici più ambiziosi e utopici. Il People’s Party, il primo movimento populista della storia, si pose l’obiettivo di riformare una democrazia dipinta come ingiusta, ineguale e corrotta. Ma in Europa il movimento populista non ebbe molto seguito. Solo nel 1917 il popolo salì alla ribalta della scena politica, in un modo completamente diverso, portando alla caduta degli imperi autoritari, nel contesto della guerra e della sconfitta.
La globalizzazione che stiamo vivendo non è meno gravata da rivoluzioni – tecnologiche, economiche, finanziarie e sociali – così potenti da influenzare gli stessi sistemi politici.
Da un quarto di secolo, le democrazie si sono svuotate proprio quando le si è ritenute insostituibili, senza modelli concorrenti. Paradossalmente, l’assenza di un’alternativa credibile ha costituito il loro tallone d’Achille. Dal momento che non sembravano minacciate, i loro difetti e le loro debolezze congenite sono apparsi in piena luce, tanto più che, sulla loro scia, trionfava senza dubbio anche il loro compagno di viaggio, l’alter ego, il secondo elemento della coppia considerata indissolubile: il mercato. La politica e la democrazia si sono sottomesse a un partner molto più potente che si era liberato dalla sua prigione nazionale.»
Yves Mény, Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico.