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I Leoni di Sicilia, il nostro sogno americano

by Francesca Pica
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Chi ha amato i due volumi sui “Leoni di Sicilia” di Stefania Auci (e siamo milioni!) avrà aspettato con ansia l’arrivo della serie Tv diretta da Paolo Genovese, in onda su Disney Plus, e forse avrà avuto l’impressione che la trasposizione televisiva fosse qualcosa di diverso dai romanzi. Infatti, per non restare delusi è meglio considerare le due opere come autonome e a sé stanti. Uno dei meriti di Stefania Auci è stato aver narrato una storia poco conosciuta, eppure straordinaria. Il merito di Disney Plus, invece, è stato aver avuto il coraggio di portare sullo schermo le pagine del libro.

Il confronto era ambizioso: scegliere interpreti credibili, restituire il clima, i suoni, il respiro di una Sicilia del passato e soprattutto riuscire ad “inchiodare” gli spettatori allo schermo fin dalle prime scene. Sfida vinta? Certamente sì. Nonostante l’intreccio narrativo della serie sia sensibilmente ridotto, rimane fedele a un racconto complesso e pieno di avvenimenti come quello della famiglia calabrese dei Florio, che seppe segnare, in poche generazioni, la storia dell’Italia intera.

Il racconto prende avvio all’inizio dell’800 quando i Florio sbarcano a Palermo provenienti da Bagnara Calabra. Paolo, con la moglie Giuseppina e il fratello Ignazio lasciano la loro terra dopo un terremoto per tentare una seconda vita a Palermo, qui con l’aiuto del cognato, aprono una bottega di spezie. La bottega diventa un successo, grazie al loro fiuto per gli affari e al loro modo di fare disponibile e senza arroganza. Ma i Florio sono ambiziosi, guardano avanti, decisi ad arrivare molto in alto. E ci riescono. Si scontrano e non poco con la nobiltà dell’Isola. Sin da subito la città non li accoglie bene, per loro non sono altro che commercianti, li chiamano con disprezzo facchini calabresi, senza tradizione alle spalle e venuti dal nulla.

I nobili siciliani erano una categoria molto speciale, fieri che nelle loro vene scorresse sangue normanno, arabo, svevo, francese. Un drappello di gattopardi che, come unica occupazione, si impegnava a dilapidare patrimoni da oltre mezzo millennio. Che considerazione potevano avere di due semplici commercianti venuti dalla Calabria, che si guadagnavano da vivere con una bottega? Un signore non si sporca le mani, un signore non lavora affatto, i soldi non devono avere a che fare con la fatica. Il denaro è elegante in società solo a patto di essere stato ereditato, non certo guadagnato; e di quel primo guadagno, che per forza dev’esserci stato, bisogna opportunamente aver perduta la memoria. Questa è una massima dell’aristocrazia siciliana dell’800 e una massima dell’aristocrazia di ogni parte del mondo.

C’è nelle scene, nei costumi e in certe inquadrature della serie Tv un’eco lontana del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, portato sul grande schermo da Luchino Visconti. La Sicilia è la stessa, a essere diverso è il punto di vista: mentre il mondo del Gattopardo decade, quello dei Florio sale; dove gli aristocratici sono fermi a guardare e a subire il crollo di un’epoca, i Florio agiscono e costruiscono un impero parallelo; dove la nobiltà si spegne, la borghesia avanza creando una nuova classe dirigente. Le vicende dei Florio parlano della nostra storia, sono il nostro meridionalissimo sogno americano.

La serie convince anche grazie a costumi da incanto, scenografie dettagliate e imponenti, per la cura per i dettagli e un budget visivamente consistente. Per le riprese è stato ricostruito da zero un intero quartiere di Palermo ed è stato ricreato, anche tramite effetti speciali, il porto antico della città. Ma convince soprattutto la storia perché parla di famiglia, ascesa sociale, successioni, scontro tra ceti e costumi che cambiano.

Non mancano poi scelte audaci, che spezzano l’ambientazione: si alternano piani temporali diversi; le donne escono come eroine femministe ante litteram; una colonna sonora a ritmo di musica pop, a volte davvero straniante! Forse quest’approccio della serie Tv troppo contemporaneo può far sfumare la patina di fascino rétro di cui è intriso il romanzo. Ma la interpretazione eccellente di tutto il cast fa dimenticare qualche scelta bizzarra.