«Eccomi, son qui io, genitrice delle cose della natura, signora degli elementi, origine e principio dei secoli, la più potente tra i numi, regina dei morti, la prima fra i celesti, colei che in sé riassume l’immagine di tutte le dee e di tutti gli dèi, io che le altezze luminose del cielo, i venti salutari del mare, i desolati silenzi dell’oltretomba coi miei cenni governo, la cui potenza, unica, tutto il mondo onora sotto varie forme, con diversi riti e differenti nomi. Per questo i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano Pessinunzia, Madre degli dei, gli Autoctoni Attici Minerva Cecropia, i Ciprioti circondati dal mare Venere Pafia, i Cretesi arcieri famosi Diana Dittinna, i Siculi trilingui Proserpina Stigia, gli antichi abitatori di Eleusi Gerere Attica, altri Giunone, altri Bellona, altri Ecate, altri ancora Ramnusia, ma i due popoli degli Etiopi, che il dio sole illumina coi suoi raggi quando sorge e quando tramonta e gli Egizi, così grandi per la loro antica sapienza, venerandomi con quelle cerimonie che a me si addicono, mi chiamano con il mio vero nome, Iside regina. Eccomi, sono qui, pietosa delle tue sventure, eccomi a te, soccorrevole e benigna. Cessa di piangere e di lamentarti, scaccia il dolore, grazie ai miei favori ormai già brilla per te il giorno della salvezza.»
Apuleio, Le metamorfosi o l’asino d’oro.