Il 15-16 novembre scorso si è tenuta a Barcellona la XVIII edizione dell’annuale Seminario Internazionale della Reale Accademia di Scienze Economiche e Finanziarie di Spagna, di cui Gente e Territorio aveva già dato notizia.
Il tema di quest’anno era di enorme complessità – “La voce della scienza economica di fronte ai limiti della vita nel pianeta” – ma le relazioni presentate dai numerosi studiosi di vari Paesi e di diversa estrazione scientifica hanno saputo costruire un quadro complessivo di chiara comprensione oltre che di straordinario interesse.
I lavori sono stati aperti dal Presidente dell’Accademia Prof. Jaime Gil Aluja con una relazione sul tema “Una nuova metodologia per la gestione della sostenibilità”.
Tra le molte relazioni ne richiamo alcune di più stretta attinenza con il tema della sostenibilità ambientale letto da diversi punti di vista:
- “Lo sviluppo sostenibile. Una prospettiva umanista”, Valerio Ioan Franc dell’Accademia delle Scienze di Romania;
- “Antropocene: come conciliare economia, politica e ambiente”, di Juli Minoves Triquell accademico corrispondente da Andorra;
- Una buona economia per tempi difficili: parliamo di sostenibilità”, di Piergiuseppe Morone della UnitelmaSpienza Università di Roma;
- “Malattie da disfunzione ecologica”, di Jean Askenasy dell’Università di Tel Aviv;
- “Caos e incertezza in un pianeta resiliente”, di Carlo Morabito dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.
A conclusione è intervenuto nuovamente il Presidente Gil Aluja con una relazione titolata “Guardando al futuro con speranza”.
Chi scrive ha fornito il suo contributo con una relazione sul tema “Riflessioni sui limiti della sostenibilità ambientale”, di cui sono riportati di seguito i punti salienti.
- Il punto di rottura nel rapporto “Uomo-Ambiente” è databile alla seconda metà del XVIII secolo, allorché in Gran Bretagna ebbe inizio la cosiddetta Rivoluzione Industriale. Alcune invenzioni di straordinaria portata – la “Macchina a vapore” di Watt (1769), il “Telaio meccanico” di Cartwhright (1785) e la “Locomotiva a vapore” di Stephenson (1829) – modificarono completamente sia i modi di produzione industriale che la mobilità delle persone e delle merci. L’intero assetto delle società e delle città fino ad allora esistenti ne risultarono cambiate al punto che quasi nulla fu più uguale a prima. Nello stesso periodo la popolazione mondiale ebbe un’impetuosa crescita passando dai circa 500 milioni di persone nel XVI secolo agli 800 milioni nel 1750 e a 1,2 miliardi nel 1850: una vera esplosione demografica che determinò un enorme aumento della pressione antropica.
- L’effetto congiunto delle nuove modalità di produzione industriale e del sovraccarico antropico determinarono un violento impatto sull’ambiente naturale che è aumentato nel tempo dando vita ad alcuni, devastanti macrofenomeni che oggi constatiamo, alla cui base stanno l’emissione di CO2 nell’atmosfera prodotta dall’uso di combustibili fossili e la completa indifferenza nei confronti dei danni inferti all’ambiente naturale.
- Il buco dell’ozono nell’Antartico ha raggiunto la dimensione di 6,0 milioni di Kmq
- La desertificazione nell’Africa sub-sahariana ha raggiunto 9,0 milioni di Kmq
- Lo scioglimento dei ghiacciai al Polo Nord è aumentato del 40% negli ultimi quaranta anni
- Negli ultimi cinquanta anni si sono verificati 11.778 eventi climatici estremi
- In mezzo all’Oceano Pacifico si è formata un’isola di rifiuti di plastica grande 2,5 milioni di Kmq (come l’intero mare Mediterraneo)
- La gravità della situazione è stata messa in evidenza dalla Comunità scientifica fin dai primi anni Settanta, con importanti studi e iniziative come i “Limiti dello sviluppo” del MIT promossa dal Club di Roma (1972) e il “Rapporto Bruntland” del WCED, che ha introdotto il principio della “sostenibilità” (1987). Sono poi seguite le annuali conferenze dei Paesi aderenti al patto contro i cambiamenti climatici (COP-Conference of Parties): dal “Protocollo di Kyoto” (1997) fino al più importante di tutti – la COP 21- Conferenza Internazionale sul clima di Parigi (2015) – che ha fissato in 2,0 °C il limite massimo di aumento della temperatura terrestre rispetto all’epoca pre-industriale.
Purtroppo le successive conferenze hanno segnato un sostanziale stallo delle azioni di contrasto ai cambiamenti climatici.
Ma la notizia peggiore su questo fronte è legata al fatto che la prossima conferenza – la COP 28 – si terrà a Dubai, vale a dire in un Paese degli Emirati Arabi Uniti che sono i maggiori produttori ed esportatori al mondo di combustibili fossili. Per di più la presidenza della conferenza è stata affidata al Sultan al Jaber, che è Ministro dell’Industria degli Emirati Arabi e, al contempo, Amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company.
Una scelta completamente sbagliata del luogo e del Presidente.
Come già commentato sulle pagine di Gente e Territorio il 20 novembre scorso (https://www.genteeterritorio.it/cop-28-i-cambiamenti-climatici-in-mano-ai-petrolieri/) questa incredibile circostanza fa capire facilmente che le azioni di progressiva diminuzione nell’uso di combustibili fossili avrà una netta battuta di arresto e, di conseguenza, diventeranno sempre più credibili le previsioni attuali di un aumento di 3,0 °C della temperatura terrestre entro la fine del secolo. Una prospettiva catastrofica.