Con questo film appena uscito nelle sale italiane, Clint Eastwood continua il suo personale percorso artistico volto a raccontare le gesta “eroiche e straordinarie” delle persone normali.
Ore 15:17 – Attacco al treno (il titolo in italiano è decisamente poco azzeccato e fuorviante, induce lo spettatore ad immaginare tutt’altro tipo di film, molto meglio l’originale The 15:17 to Paris) trae spunto da quando, nelle prime ore della sera del 21 agosto del 2015, il mondo ha assistito stupefatto alla notizia divulgata dai media, di un tentato attacco terroristico sul treno Thalys 9364 diretto da Amsterdam a Parigi, sventato da tre coraggiosi giovani americani che viaggiavano per l’Europa.
La pellicola ripercorre la vicenda umana dei tre protagonisti, Anthony Sadler, Alex Skarlatos e Spencer Stone, dall’infanzia problematica a Sacramento in California, alla giovinezza incerta e incespicante nella ricerca di un posto nel mondo, sino alla serie di coincidenze ed episodi che li hanno fatti trovare, come si dice nei film, nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Con stile ormai riconoscibilissimo, Clint Eastwood illustra con precisione la sua epica, lineare e semplice, fatta di persone normali che danno il meglio di sé, senza retorica e senza troppi condizionamenti culturali, di fronte ad eventi eccezionali.
Movimenti di macchina scarni e naturali, nessun virtuosismo nelle riprese e nelle luci, immagini nitide, montaggio quasi scolastico, diventano tutti elementi iconici della precisione marziale con la quale il regista, quasi novantenne, affronta l’arte cinematografica.
Il film però, ammettiamolo per rispetto di Clint, non è un capolavoro. Troppe lungaggini, qualche passaggio a vuoto di troppo, un poco di Gran Tour turistico in Italia che non guasta mai.
Merita comunque di essere visto, perché si arricchisce di due intuizioni davvero formidabili e ben riuscite, che di fatto allontanano da qualsiasi contaminazione retorica e celebrativa, pur, come sempre col caro vecchio Clint, avvicinandosi rischiosamente all’onnipresente autocelebrazione dei valori statunitensi.
La prima, già utilizzata in altro film, è quella di far durare i tre minuti più importanti della pellicola, quelli in cui, intorno alle 17.45, sul treno per Parigi, i tre californiani immobilizzarono e disarmarono Ayoub El Khazzani, 25 anni, che armato di un fucile automatico e di 300 cartucce stava per compiere un massacro, come i tre minuti reali, senza dilatazioni, senza musiche celebrative, senza improbabili acrobazie, senza insomma i cliché del cinema di genere, che avrebbero fatto tanto fumettone hollywoodiano.
I protagonisti, sono imprecisi, imperfetti, si muovono con indecisione, hanno paura, si fanno male, si feriscono, non sono belli e invincibili, ma sono come noi, e pertanto non scatta nessun meccanismo di emulazione ma di reale immedesimazione.
La seconda, che leggendone anticipazioni sulla stampa qualche tempo fa, aveva destato non poche perplessità, è stata quella di usare non attori per la parte dei protagonisti, ma i protagonisti reali della vicenda, ovvero Anthony Sadler, Alex Skarlatos e Spencer Stone hanno interpretato loro stessi nel film.
Scelta difficile e rischiosa, ma pienamente riuscita. I tre risultano credibili nella loro normalità e banalità. L’effetto docufiction e la deriva reality sono state pienamente scongiurate.
Puro Eastwodd al 100%. Ancora ancora una volta ci insegna, con una conduzione diretta e senza fronzoli, come la realtà spesso sia molto più retorica della sua rappresentazione cinematografica. La parte finale del film infatti è strutturata utilizzando le immagini reali della cerimonia di conferimento della Legion d’Onore ai tre americani (più un inglese) da parte dell’allora Presidente francese François Holland.
Fa davvero piacere vedere come, a quasi novant’anni, il cowboy dagli occhi di ghiaccio continui ancora, da repubblicano convinto e purissimo, a corrodere dal di dentro il beota conservatorismo statunitense, col suo cinema fatto di persone e sentimenti veri, fuori da ogni trumpismo di maniera.
di Giulio Espero