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Il premierato della Meloni, un’idea che viene da lontano

by Bruno Gravagnuolo
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Il primo a lanciare l’idea del premierato – premier eletto dal Popolo – fu Mario Segni sull’onda della spinta maggioritaria nei primi anni Novanta. Era una proposta eversiva della Carta costituzionale, ma nessuno se ne rendeva conto.

Allora infatti, primi anni ‘90, si pensava che il direttismo, in quanto elezione diretta dei governi, nella crisi dei partiti fosse sinonimo di vera democrazia. Democrazia diretta appunto, ma dunque ipso facto populistica. Poi furono Occhetto e D’Alema, che la chiamò premierato, a riprendere la proposta di Segni. Ma, come disse il grande politologo Sartori, quell’idea non stava né in cielo né in terra. Per dirne una, il premierato fu introdotto in Israele nel 1992 e abolito dopo due tornate nel 1999 perché gli elettori votavano partiti sempre più piccoli e ciò creava conflitto e ingovernabilità. D’Alema fu battuto in Bicamerale nel 1997.

Quella era tuttavia solo una delle ipotesi, insieme al doppio turno di collegio e al Presidente ‘austriaco’, eletto dal popolo ma con gli stessi poteri del nostro. Poi D’Alema fece autocritica e contrastò questa proposta optando per il cancellierato tedesco. Ma ancora nel 2003 Occhetto, Amato e Bassanini riproposero un disegno con il “Sindaco d’Italia” al primo turno, eletto in coalizione. Segretario Ds Fassino. Infine non se ne fece nulla.

Ci pensò Berlusconi con Lega e Destra a riproporlo, con Senato federale. Grande battaglia a centrosinistra che aveva appena vinto. E quindi basta. Vittoria al referendum, ancora contro la Destra.

Torna però Renzi con l’italicum e la sua grande riforma, appoggiato dai veltroniani Ceccanti e Alimonte. Riforma stracciata pur’essa. Dalla Corte e dal popolo nel 2016.

Ora ci riprova Giorgia Meloni in modo ancor più confuso: con il 30% nelle urne si prende il 55% nelle aule parlamentari e con lo scioglimento dopo una prima sfiducia costruttiva, ma nell’ambito della stessa coalizione. Vuole pieni poteri. È il duo Papeete che va all’attacco.

Purtroppo il peccato del premierato che oggi Renzi torna ad appoggiare, viene da lontano. Anche da sinistra. Dall’idea referendaria e semplificativa della democrazia diretta e commissaria. Un mito giacobino, rousseviano e leninista, poi trasmigrato a destra nei fascismi. È l’idea della democrazia totalitaria di cui parlò Jacob Talmon: sovranitaria diretta, coesa e integrale, dove vige la dittatura della maggioranza. Con Parlamento e corpi intermedi esautorati. A partire dai partiti, che divengono in ogni presidenzialismo – che tale è in fondo il premierato – forme fluide di opinione e aggregazioni di personale di governo.

Ogni elezione diviene così un giudizio di Dio sulla persona unta dal Signore. Senza contrappesi e autorità di garanzia super partes, come oggi il Quirinale. Del resto la Meloni ne farà il suo banco di prova personale. Per una investitura destinata a sovvertire per intera la nostra democrazia parlamentare. Democratura insomma. C’è poco da fidarsi.