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Lanfranco Pace, l’uomo che trattò per liberare Moro

by Bruno Gravagnuolo
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Lo scorso 4 novembre è morto Lanfranco Pace, colui che nel marzo ‘78 trattò con lo Stato per negoziare la liberazione di Aldo Moro. L’11 novembre, ad una settimana dalla sua scomparsa, è stato rievocato a Roma, al Foglio, in piazza Campo Marzio, con Giuliano Ferrara e la redazione del quotidiano. Qui di seguito la testimonianza di Bruno Gravagnuolo.

 

Morto a Messina a 79 anni, giornalista brillante e dissipato, dal 1997 al Foglio, ma anche a Liberation prima di tornare in Italia.

A parte il gran maestro Toni Negri, lui, da Torino, era il vero capo italiano di Potere Operaio, che poi si scioglie, mentre una parte, la sua, andrà a fare Autonomia Operaia. L’altra andrà nelle Br. Pace con Lucio Castellano fonderà Metropolis. E pubblicherà le famose vignette con l’agguato di Via Fani: “la geometrica potenza delle Br…etc“.

Dopo l’esilio in Francia torna in Italia, va uno o due giorni dentro e poi, assolto per prescrizione per i reati di fiancheggiamento, per il rogo di Primavalle e per insurrezione armata, entra al Foglio dopo una intervista a Ferrara, che lui stesso definirà ‘il Falstaff di Berlusconi’. Da quell’intervista tra loro nacque una duratura amicizia. Divenne anche autore del “Punto” in “8 e mezzo” su la 7, nonché biografo di Sarkozy.

Per me Pace fu un nemico assoluto. E tuttavia ci parlavo. Sì, ci parlavo a denti stretti quando seguiva i nostri cortei – Pci, antifascisti – a bordo strada per valutarne la portata. Ci si parlava sì. Per capire l’altro. L’antagonista. In definitiva avevo avuto molti amici che andarono a Potop. E io li contrastavo a spada tratta. Nemico all’epoca, avversario quando confluì nell’ elefantino.

Ci si incontrava a volte negli anni ‘90. Capitava in certe cene, perché aveva avuto come compagna e madre di sua figlia Stefania Rossini, nostra amica e brillante giornalista de L’Espresso.

Lanfranco è morto una settimana fa. Prese una strada opposta alla mia. Opposta prima e opposta dopo. Non eravamo amici né mai lo fummo. Anzi, l’imbarazzo tra noi era palpabile. Nella storia dell’estremismo e anche in quella italiana resterà tuttavia come l’uomo che nel 1978 con Franco Piperno andò da Craxi per trattare su Moro. Era in contatto con Faranda e Morucci ex Potop, contrari all’omicidio. Si sa come finì. Permangono domande. Era sincero o “doppio” Lanfranco Pace? Fu un tentativo serio, oppure un alibi il suo per giustificare la criminale decisione?

Io credo che Pace ci credesse. Era per la sovversione violenta diffusa, non per il partito armato ‘lenin-stalinista’. Su questo le stesse Br erano spaccate. Dare un segnale di guerra civile forte? Oppure spettacolarizzare l’evento mostrando ‘clemenza’ con la liberazione di Moro e poi ripartire con altre azioni? E il Pci fece bene o male a chiudere ogni varco di trattativa?

Lasciamo da parte la quasi certezza degli infiltrati e della non volontà di liberare lo statista da parte di USA e degli apparati con Gelli dentro. Il punto è questo: le Br non si sarebbero contentate di denaro o di liberazioni di militanti sotto banco. Come ha spiegato lo storico Gotor, oggi assessore con Gualtieri, esse volevano il riconoscimento politico come parte in guerra. E dunque l’attestato di combattenti di una guerra civile. Di qui il ricatto. Pubblico e palese. Volevano piegare lo Stato al ruolo di controparte della guerra. Perciò il Pci si trovò schiacciato tra eversione di destra dentro lo Stato, ed estremismo combattente che, se premiato, ne sarebbe stato esaltato e rilanciato. Al di là della caccia posteriore alle Br che vi sarebbe poi stata. Il che avrebbe diviso il Pci e messo all’angolo Berlinguer come inaffidabile sia a destra che a sinistra estrema. Sarebbe finito sbranato. Altro che Pci più al sicuro sotto ombrello NATO, come si spinse a dichiarare Berlinguer!

Dunque quale che fosse stato l’epilogo della trattativa, il caso Moro sarebbe stato comunque un colpo micidiale per tutta la sinistra, compresa quella radicale e più moderata. E così fu.

Il Pci fu espulso dai giochi, perse Moro, il suo interlocutore per l’ingresso al governo, e fu messo al margine dal CAF, con Craxi doganiere a delimitare la maggioranza. Poteva voler trattare il Pci? Se lo avesse solo detto ci sarebbe stato il caos, oppure la spaccatura del partito, Pel paese, nuove elezioni magari, e polarizzazione tragica con colpi violenti reazionari, bombe, e altre azioni armate del ‘partito comunista combattente’. Per non dire della disgregazione dei ceti moderati che avevano votato Pci nel 1976 e che lo avrebbero abbandonato. Lasciamo aperta la questione. Tutta ancora da riapprofondire. Ciascuno dia la sua risposta. Ferite ancora aperte.

Quanto a Lanfranco Pace, si illuse di poter conciliare linea insurrezionale e mediazione istituzionale. Un ossimoro assurdo, mai visto. Nemmeno in Africa e in America Latina. E che laddove fu solo lambito – in Argentina e Cile con Tupamaros e Mir – produsse la reazione più bieca. In Italia produsse invece legislazione di emergenza e CAF, Craxi Andreotti Forlani. E un Pci senza più linea. Scacco matto.