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La crisi degli alloggi universitari: una modesta proposta.

by Luca Rampazzo
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Su queste pagine (virtuali) si è aperto un interessantissimo dibattito, in cui il Prof. Bianchi ha dato alcuni dati estremamente importanti. Il primo è che, tra sedi principali e distaccate, 54 province hanno una o più facoltà universitarie. Il secondo è che gli alloggi (pubblici) coprono il 7% del fabbisogno globale, contro il 20% della media europea. Questi due dati che, correttamente, il Professore dà assieme dipingono un quadro complesso, ma i cui punti fondanti sono chiari:

  1. Prescindendo da elementi pur importanti, come scelta di una particolare facoltà o corso di laurea, statisticamente la gran parte dei giovani ha una università sotto casa. Se contiamo, infatti, che in quelle 54 provincie ci sono quasi tutti i capoluoghi di Regione e tutte le maggiori città (Napoli, Milano, Roma) è evidente come l’Italia sia capillarmente coperta.
  2. Queste Università offrono una amplissima scelta di corsi di laurea a prezzi davvero concorrenziali. Siamo tra le nazioni che fanno pagare meno il titolo di studio accademico.
  3. Eppure esiste un problema legato ai fuori sede e pure questo è innegabile.

A questo punto una domanda va fatta: se un ragazzo, legittimamente, decide di trasferirsi da Roma a Milano perché la facoltà, poniamo, di Ingegneria è migliore, il suo alloggio è un problema dello Stato? Anche solo porsi questa domanda non aiuta a farsi molti amici, ma qualcuno, prima o poi, dovrà farsela. Finora ci si è concentrati, infatti solo sul COME dare un alloggio a quanti più studenti possibile. Ma non si è guardato alla domanda di fondo: il calcolo fatto con la proporzione tra studenti totali e studenti alloggiati è un numero significativo?

Si potrebbe concludere che sì, lo è, perché lo Stato ha deciso di entrare in una logica internazionale di valutazione competitiva delle facoltà. E se pubblico una classifica in cui Torino batte Padova, ad esempio, in Lettere, allora è legittimo che lo studente che vive a Padova possa decidere di trasferirsi sotto la Mole per studiare Lettere. Gli abbiamo detto, dopotutto, che se si laurea a Padova il suo titolo varrà meno, no? Quindi, muovendosi, pretende che qualcuno gli venga incontro. In sostanza, come spesso avviene, il problema l’ha creato lo Stato e ora deve risolverlo.

Solo che, a questo punto, si apre un altro fronte: la facoltà di Lettere di Padova ha senso che rimanga aperta? Magari sì. Magari no. Di sicuro il principio è che le microfacoltà sottraggono risorse che potrebbero essere usate per alloggiare glì studenti fuori sede. Un’idea scandalosa? Forse, ma ridurre le università minori e consentire a chi vuole di andare nelle migliori risolverebbe molti problemi. Dopotutto, se sono proliferate così tante piccole università il tema è culturale. Questa è la nazione dei mille campanili, sotto ciascuno dei quali, obbligatoriamente, devono trovare posto un aeroporto, una stazione dell’alta velocità (regolarmente contestata da chi poi si lamenta dell’isolamento) e una Università.

È, però, del tutto evidente che se consento la Libera Università Euromediterranea di Rocca Cannuccia i costi per tenerla aperta verranno sottratti agli studenti di Rocca Cannuccia che, dati alla mano, ne preferiscono una migliore, come la Federico Secondo per il proprio corso di studi ma non trovano posto a Napoli per vivere a prezzi dignitosi. E allora lanciamola questa provocazione: cominciamo a chiudere le Università minori e finanziamo i posti letto di chi vuol studiare nei centri maggiori. Mi rendo conto che sia una scelta estrema e sotto alcuni aspetti distorsiva e magari ridurrà il numero complessivo dei laureati. Ma consentire il titolo a tutti e consentire che lo prendano dove vogliono a spese dello stato sono proposte che non stanno assieme.

Per chiudere, ovviamente qualcuno proporrà di tassare Amazon per aprire studentati. Non succederà, lo sappiamo tutti. Inoltre, tra gli infiniti problemi non c’è certo la bassa tassazione. Il principale problema è l’assenza di una mentalità progettuale che guardi ai prossimi venti anni, invece che ai prossimi venti giorni. Risolvere questo ci porterebbe a risolvere una buona metà dei problemi complessivi dell’Italia. E tra questi, indubbiamente, quello degli alloggi per gli universitari.