L’autore è stato Rettore dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, dell’Università Telematica Pegaso e Segretario Generale della Conferenza dei Rettori. Attualmente è Direttore de “La Fenice Urbana”, Scuola di Rigenerazione Urbana Sostenibile.
Gentile Signora Ministro,
la ricerca da Lei avviata di immobili sfitti da destinare ad alloggi per studenti universitari è un’idea certamente apprezzabile, ma se si va oltre le buone intenzioni e la si misura con l’entità del problema da risolvere sembra non del tutto adeguata.
Come Lei ben sa, attualmente in Italia gli studenti universitari sono circa 1,8 milioni, di cui poco meno di 600mila fuori sede. Di questi circa 42.000 sono ospitati in studentati pubblici. Si tratta del 7% del totale rispetto ad una media europea del 20%, il che vuol dire che ne servirebbero altri 78.000 solo per poterci considerare europei.
Detto questo, il punto di vista che vorrei portare alla Sua attenzione riguarda il versante degli immobili occorrenti per soddisfare tale imponente domanda, a partire dal fatto che le Università che erogano formazione in presenza sono ubicate, senza considerare le sedi distaccate, in ben cinquantaquattro città.
Sono tutte le città capoluogo di Regione e molte delle città medio grandi, vale a dire quelle in cui è presente un patrimonio edilizio di notevole consistenza.
E qui veniamo al punto, perché di quel patrimonio edilizio una parte consistente è ormai dismessa, vale a dire che non svolge più la funzione originaria e si trova in uno stato di abbandono.
Purtroppo non esiste un censimento di questo patrimonio, per cui i dati che possediamo derivano da stime parziali e da fonti differenti.
Tuttavia gli ordini di grandezza sono credibili e ci dicono che nel Paese vi è una quantità enorme di immobili in queste condizioni, molti dei quali si presterebbero ad essere usati per alloggi e servizi agli studenti: parliamo di 1.500 edifici militari, 25.000 impianti sportivi, 1.700 stazioni ferroviarie, 20.000 edifici religiosi, 3.000 orfanatrofi, per citare solo gli esempi più rilevanti.
Sono tutti facilmente riconvertibili dall’uso originario a studentati?
Certamente no, certamente non in modo facile e certamente non a costi contenuti perché gli interventi di rigenerazione urbana – di questo si tratta – sono complessi e costosi, ma è questa la direzione in cui muoversi se si vuole affrontare il problema a tutto tondo.
Ma c’è un altro aspetto altrettanto importante da considerare ed è che così facendo l’edilizia universitaria, quella residenziale in particolare, potrebbe fornire un contributo rilevante al miglioramento della qualità di vita delle nostre città, che non ha altra possibilità che la rigenerazione urbana se si vuole frenare il dissennato consumo di suolo e invertire la logica dell’espansione senza fine. Purtroppo l’indicazione del PNRR va in direzione opposta quando dice che i fondi assegnati al MUR servono a “triplicare i posti letto disponibili per gli studenti fuori sede (…) incentivando la realizzazione, da parte di soggetti privati, di nuove strutture di edilizia universitaria”.
Peraltro, tutte le risorse del PNRR per la rigenerazione urbana – che erano state affidate misteriosamente al Ministero degli Interni – sono state cancellate per 3,3 miliardi, dicendo che saranno reperite altrove.
Sarebbe un grande segnale se il Ministero dell’Università e della Ricerca – quello che sovrintende alla formazione e alla trasmissione del sapere – si candidasse a svolgere un ruolo in questa fase di incertezza dei fondi del PNRR, dicendo che intende affrontare un problema particolare, quello delle residenze universitarie, nella particolare direzione della rigenerazione del patrimonio edilizio dismesso, dando così un decisivo contributo al miglioramento della qualità delle città grazie alla presenza delle Università.