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Il rischio dell’alienazione dell’uomo digitale nella smart city

by Francesco Alessandria
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  1. L’alienazione dei cittadini digitali

L’alienazione dell’uomo contemporaneo è un concetto che si riferisce alla perdita di connessione e senso di appartenenza dell’individuo nella società moderna. È un concetto che trae origine dalle teorie sociologiche e filosofiche, in particolare dal pensiero di Karl Marx.

Secondo Marx, l’alienazione si verifica a causa delle dinamiche capitalistiche che caratterizzano la società moderna e si manifesta in diversi modi:

  • l’alienazione dell’operaio (nell’economia capitalista) che, separato dai mezzi di produzione, si trova a vendere la propria forza-lavoro per sopravvivere. Questo processo aliena l’individuo dal proprio lavoro, che diventa solo un mezzo per guadagnare denaro anziché adoperarsi a favore di un’attività creativa e gratificante;
  • l’alienazione sociale, intesa come mancanza di connessione e solidarietà tra gli individui nella società contemporanea;
  • l’alienazione della natura, che viene vista come una risorsa da sfruttare e dominare con conseguente mancanza di rispetto per l’ambiente che viene così inquinato e dapauperato.

Ma, aldilà delle definizioni che ormai la storia ha consolidato, ciò a cui si ritiene di voler porre attenzione in questa sede, è l’alienazione contemporanea che può riguardare la perdita di autenticità e del senso di sé. Le pressioni sociali, culturali, economiche e tecnologiche possono costringere le persone a conformarsi a ruoli e identità predefinite, rinunciando alla propria individualità e alla realizzazione personale.

È importante notare che il concetto di alienazione dell’uomo contemporaneo è ampio e complesso, e le sue manifestazioni possono variare da individuo a individuo. Tuttavia, l’analisi di questi fenomeni può aiutare a comprendere le sfide e le tensioni che molte persone sperimentano nella società moderna e quindi nella città.

Questo assunto è utile per focalizzare l’attenzione alle dinamiche riconducibili a forme di alienazione dell’uomo del nostro tempo ed in particolare delle generazioni native digitali e degli immigrati digitali.

Ma chi sono costoro?

I nati digitali sono coloro che hanno visto la luce dal 1990 in poi [1]; gli immigrati digitali [2] sono quelli che la luce l’hanno vista prima.

Ergo per vivere appieno nella società digitale bisogna acquisire, da un lato, le conoscenze e competenze di base (alfabetizzazione digitale) e, dall’altra, sviluppo di capacità cognitive e comportamentali necessarie per sfruttare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie mirate all’acquisizione di consapevolezza dei diritti/doveri di cittadinanza digitale [3].

Il tema ricade, quindi, nella governance della città nelle sue forme fisiche e relazionali.

Un dato da considerare è certamente quello delle nuove generazioni che si muovono con estrema naturalezza in un universo inter-cross-mediale. Circa il 90% dei ragazzi (con particolare riferimento alla classe di età 11-20 anni) risulta essere utente regolare della rete di cui spesso non coglie pienamente le potenzialità, non solo a fini di entertainment, ma anche edutainment.

Mentre il 58% degli Italiani (popolazione tra 16 e 74 anni) non possiede un livello di competenze digitali di base tale da consentire di esercitare pienamente i diritti di cittadinanza ai tempi di internet (circa 26 milioni di cittadini italiani); la Francia e la Spagna hanno un livello di competenze digitali pari al 43%; la Germania al 30%; il Regno Unito al 26% [4].

Si rileva a questo punto un paradosso: a formare ed educare ai diritti di cittadinanza digitale i nati digitali sono gli immigrati digitali che diventano pionieri digitali in quanto sono chiamati a educare (alla cittadinanza digitale) i propri studenti o cittadini ed ai quali è chiesto di progettare, realizzare, verificare nuovi approcci educativi-didattici e comunicativi che rispondono ad un nuovo modo di essere (e agire da) cittadini, in un’era tecnologica in costante evoluzione.

Altro elemento di cui bisogna offrire definizione è il concetto di cittadinanza digitale.

Intanto la definizione di cittadinanza (prima del digitale) “indica il rapporto tra un individuo e lo Stato, ed è in particolare uno status, denominato civitatis, al quale l’ordinamento giuridico ricollega la pienezza dei diritti civili e politici. In Italia il moderno concetto di cittadinanza nasce al momento della costituzione dello Stato unitario” ed è attualmente disciplinata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91. (https://www.interno.gov.it/it/temi/cittadinanza-e-altri-diritticivili/cittadinanza).

La cittadinanza digitale, invece, è quell’insieme di diritti/doveri che, grazie al supporto di una serie di strumenti (l’identità, il domicilio, le firme digitali) e servizi, mira a semplificare il rapporto tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione tramite le tecnologie digitali.

Educare alla cittadinanza digitale significa quindi rivolgersi ai cittadini indirizzandoli per:

  • esercitare la propria cittadinanza usando in modo consapevole e responsabile gli strumenti tecnologici, in base ai bisogni individuali, per apprendere, informarsi, comunicare, lavorare, esercitare i propri diritti e adempiere ai propri doveri… partecipare attivamente alla società;
  • esprimere e valorizzare se stessi utilizzando gli strumenti tecnologici in modo autonomo e rispondente ai bisogni individuali e collettivi;
  • saper rispettare norme specifiche (rispetto della privacy);
  • essere cittadini competenti del contemporaneo.

Educare alla cittadinanza digitale dovrebbe tendere all’aumento delle possibilità di esprimere il proprio essere comunità, consentendo al cittadino di comprendere e attuare i propri diritti/doveri e alle amministrazioni di semplificarne l’esercizio facilitando l’accesso ai servizi digitali.

Ecco evocato e richiamato il concetto di servizi applicato alla smart city dove la rete diventa uno spazio in cui si sviluppano le personalità individuali e le dinamiche relazionali e, come tale, implica riflessioni di natura etica.

Città non più come spazio fisico, ma come spazio di realtà mista.

A questa realtà mista vi si accede attraverso la rete e nella rete ciascuno ha, potenzialmente, pari possibilità di mostrare, far conoscere e far valere il proprio pensiero.

Ma questo imporrebbe una serie di norme comportamentali da osservare nell’ambito dell’utilizzo e delle interazioni delle tecnologie digitali. In tal senso viene in aiuto un interessante neologismo che sintetizza l’insieme delle regole di buona educazione da rispettare nella comunicazione in rete: “netiquette”, parola composta da network, “rete”, ed étiquette, “buona educazione”.

Affiora, quindi, una prioritaria esigenza che bisogna garantire secondo una duplice direzione:

  1. a) creare e gestire l’identità digitale, riuscendo a proteggere la propria reputazione e quella altrui;
  2. b) essere in grado di evitare rischi per la salute e minacce al proprio benessere fisico e psicologico.

Tutto ciò si riflette nella città delle relazioni ed impone di dare delle regole alla smart city!

Ci sono delle parole chiave che potrebbero essere inserite negli strumenti della governance del territorio che ormai prescinde dalla tradizionale gestione razionalista basata sullo zoning e/o sugli standard urbanistici.

Bisogna incedere verso quella tassonomia sociale [5] che obbliga alla sostenibilità sociale (non solo ambientale o economica) in cui si potrebbe considerare la cura contro l’alienazione sociale che discende dall’uso improprio delle tecnologie del cittadino digitale sia esso nato o immigrato.

  1. Il ruolo degli Enti locali e del Governo centrale

In effetti, successivamente alla pandemia, si è rilevato un diffuso desiderio di partecipare alla socialità attraverso la condivisione dei processi decisionali e delle scelte che riguardano la propria città.

Il lock-down, lo smart working, la DAD, lo streaming, l’eCommerce e le trasformazioni a cui i cittadini (studenti, lavoratori ecc.) sono stati indirizzati, hanno evidenziato la centralità delle nuove tecnologie di telecomunicazione ed hanno conferito una fortissima spinta al ridisegno degli spazi e dei tempi nella (e della) città. Ciò ha avuto come conseguenza la restituzione di centralità al cittadino ed una nuova responsabilizzazione delle Amministrazioni verso una nuova forma di governance.

In recenti indagini, [6] su un campione di 1.200 cittadini residenti nei comuni capoluogo di provincia, oltre il 90% degli intervistati ha valutato favorevolmente l’esperienza del lavoro da remoto, in termini di qualità delle connessioni, rispetto delle condizioni di sicurezza, strumenti informatici a disposizione, tranquillità della postazione di lavoro.

Se ne deduce che i cittadini hanno accolto ed hanno imparato ad apprezzare l’idea di lavorare da casa; ciò è dimostrato da circa il 40% del campione che ha conservato forma di lavoro ibride; mentre il 25% è disponibile a separare il luogo della residenza da quella del lavoro, pur di ottenere migliore benefici in termini di qualità di vita.

L’idea della separazione tra la sede del lavoro, in cui è situata l’azienda o l’ufficio, è ormai ordinariamente acquisita. Tuttavia, tale nuova condizione impone alla Amministrazioni Comunali di dover porre diversa attenzione nella gestione dei servizi, nelle azioni, nelle scelte urbanistiche e richiama i Comuni stessi, soprattutto quelli di piccola dimensione, sulla necessità-opportunità di essere attrattivi ed offrire un territorio in cui si possa vivere e lavorare bene con condizioni elevate di qualità della vita.

Ciò è tanto vero che il Ministero per la Coesione Territoriale, attraverso l’Autorità di Gestione del PON Città Metropolitane, ha previsto un sostegno finanziario dedicato alle città di medie dimensioni del Sud (oltre 334 milioni di euro), al fine di promuovere, la realizzazione di azioni coordinate per l’inclusione e l’innovazione sociale, volte al miglioramento della qualità della vita e alla riduzione del disagio sociale nei contesti periferici e marginali.

Al pari dell’azione locale, l’azione del governo centrale è essenziale per la diffusione dei cosiddetti strumenti abilitanti standard e parimenti fruibili sul territorio nazionale (identità digitale, sistema dei pagamenti elettronici) e per sviluppare l’interoperabilità tra i sistemi della PA, proiettandosi verso quell’ omogeneità nei servizi pubblici che trasformi in concreto il principio dell’“once only”.

Ma una vera transizione si potrà avere solo se, insieme ai servizi essenziali indicati sopra, si digitalizzerà per tutti la fruizione del catasto, dell’urbanistica; dall’edilizia, dalla protezione civile, dei rifiuti, dei tributi, dei servizi sociali; dell’edilizia scolastica, dell’anagrafe.

Quindi, dalla digitalizzazione dei servizi degli Enti locali passa la digitalizzazione del Paese che vede, nella direzione di una completa trasformazione di tutti i servizi in ottica smart city, una serie di esigenze nei servizi pubblici atti a garantire, per esempio: energia sostenibile e rinnovabile; sistemi di illuminazione smart per il risparmio energetico; pannelli informativi su traffico; condizioni meteo, attività culturali ed eventi…

Il dato di sintesi a cui si perviene è la necessità di educare i cittadini digitali all’utilizzo dei servizi che le nuove tecnologie offrono.

Nella disamina della governance emerge con vigore il rapporto imprescindibile tra cittadino e istituzioni, dove il ruolo delle istituzioni è dirimente. E queste ultime devono impegnarsi a garantire la piena cittadinanza digitale che passa attraverso:

  • l’alfabetizzazione degli immigrati digitali, che dovranno appropriarsi degli strumenti digitali ed essere capaci di utilizzarli, evitando  che l’impotenza all’utilizzo ne generi forme di alienazione ed esclusione;
  • il corretto utilizzo ai nati digitali affinché evitino forme di intossicazione dalla connessione continua e si avviino verso il riappropriarsi della propria vita nella realtà oggettuale con l’agire solidale e la partecipazione.

E’ utile richiamare Tony Blair, dal 1997 al 2007 primo Ministro inglese, che evocò nel suo discorso programmatico il concetto di “education, education, education”.

Ed è attraverso la ”education” ad una stretta correlazione tra il governo fisico del territorio e quello delle relazioni che bisogna individuare gli strumenti che regolano la città smart e, quindi, digitale. L’education non può più limitarsi ai soli profili tecnologici, ma deve occuparsi anche di quelli apparentemente meno conferenti e che sono, appunto, quelli sociali.

 

[1] Sono i nati al tempo della rete dal 1990 in avanti e sono definiti anche  “anche Generazione Google” (da P. Ferri/ M. Prensky 2001). Essi sanno usare le tecnologie digitali intuitivamente e senza sforzo.

[2] L’ immigrato digitale è colui che ha acquisito capacità all’utilizzo delle tecnologie digitali in età adulta.

[3] DIGCOMP (Quadro Europeo delle Competenze Digitali ; 2013 – ) ha enucleato 5 aree tematiche sviluppate a propria volta in 21 competenze; digitali 1. Alfabetizzazione su informazioni e dati; 2. Collaborazione e comunicazione; 3. Creazione di contenuti digitali; 4. Sicurezza; 5. Problem solving.

[4] DESI 2020 (Digital Economy and Society Index).

[5]  La proposta, pubblicata il 28 febbraio 2022, dà definizione alla bozza presentata a luglio 2021 dalla Platform on Sustainable Finance, un Gruppo permanente di esperti che ha il compito di assistere la Commissione Europea nel raggiungere gli obiettivi stabiliti dal Piano d’Azione Europeo per la Finanza Sostenibile.

[6] È quanto emerge dalla ricerca EY Human Smart City Index 2022, presentata durante l’incontro EY Italy Outlook Talk.