La parola Serraglio deriva, secondo autorevoli glottologi, dal turco “Saray”. E da Saray al nostro “Serraglio” il passo è breve, foneticamente. Forse l’occasione per la esportazione della parola dalle coste turche alle coste italiane fu la caduta di Costantinopoli avvenuta nel mese di maggio dell’anno 1453, anno in cui gli Ottomani conquistarono dopo due anni di assedio la città cacciandone i Bizantini con il loro Imperatore Costantino IV.
La conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani ebbe profonde conseguenze geopolitiche, anche perché alcuni stati “occidentali” corsero in soccorso di Costantinopoli, che dopo essere stata conquistata dagli Ottomani fu poi ribattezzata Istanbul. Essa sarebbe diventata la capitale del nuovo Impero ottomano, succeduto all’Impero Romano d’Oriente.
Dal Regno di Napoli – conquistato pochi anni prima dagli Aragonesi, con Re Alfonso V di Sicilia che sul trono Napoletano assunse il nome di Alfonso I, poi detto il Magnifico perché aveva reso Napoli una grande capitale del mondo allora conosciuto – era arrivato in soccorso bizantino un gruppo di 200 arcieri guidati da Gabriele Orsini del Balzo, Duca di Venosa, che morì in battaglia. L’importante testimonianza di solidarietà bizantina e mediterranea generò una cospicua emigrazione di nobili e cavalieri da Costantinopoli a Napoli. La città partenopea era infatti ancora imbevuta intimamente di cultura bizantina, quindi per questo motivo legata ad Amalfi, la quale continuava a commerciare con Costantinopoli, dove aveva mantenuto a lungo un “sedile” di rappresentanza diplomatica della decaduta Repubblica marinara. Salerno, invece, era rimasta Longobarda e per questo “nemica” di Napoli, ormai però Capitale del Regno. (E qui vale la pena di ricordare che ancora pochi mesi fa abbiamo constatato questa antica avversione, “culturale” prima ancora che politica, in occasione della vittoria sportiva dello Scudetto degli “azzurri” napoletani, vissuta come un ennesimo affronto dagli ultras “granata”).
La presenza dei cavalieri turchi però inseminò fecondamente la realtà equestre napoletana – alimentata dai cavalli importati da Amalfi dal vicino Oriente – dando poi origine nei maneggi napoletani, primi nel mondo, alla Alta Scuola Equestre napoletana. E i principi fondanti di tale Scuola, divenuti universali nell’Europa rinascimentale – furono codificati poi, in un apposito manuale, da un nobile napoletano, Federico Grisone, non a caso originario di Ravello, l’alto terrazzo di Amalfi sul mare.
Tout se tient, come può constatare il nostro lettore, in questo incipit delle Quattro Giornate di Napoli, altrimenti fuorviante. Con i cavalli infatti erano importati via mare da Amalfi anche altri animali, selvatici o ammaestrati. Nacquero così anche a Napoli i primi “Serraj”, italianizzati (ndr: o napoletanizzati?) in serragli. I serragli erano all’inizio centri di raccolta di animali feroci o selvatici, per lo più ingabbiati, spesso addestrati come quelli da circo. Nel Settecento fu famoso il Serraglio realizzato dall’Architetto Ferdinando San Felice per volere di Re Don Carlos, poi Carlo III di Spagna, accanto alla Cavallerizza reale della Maddalena, che poi divenne la Caserma Bianchini, oggi sbrigativamente detta anche Palazzo dell’IVA.
Ma le carceri, con le loro “gabbie” per umani, ricordavano i serragli. Ecco perché il carcere minorile di Napoli fu detto ‘o serraglio, pronunciato con la “e” evanescente, come è regola fonetica precisa della lingua napoletana.
Nella stessa epoca, sempre per volere di Re Don Carlos, sorse il Real Albergo dei Poveri, detto anche Palazzo Fuga dal nome dell’architetto fiorentino che lo progettò. Esso è di gran lunga il più grande palazzo monumentale di Napoli e fu tra i maggiori fabbricati d’Europa nel Settecento. Immaginato da Don Carlos come soluzione alloggiativa per i tanti poveri napoletani, non fu completato a causa della partenza di Re Don Carlos da Napoli per Madrid, ove fu incoronato come Carlo III di Spagna. Suo figlio Ferdinando I delle due Sicilie fece però ridurre il Progetto originario e destinò il Palazzo a varie funzioni, oltre che ai bisognosi, tra le quali una grande scuola di Musica e ad officine per artigiani e nascenti paleo industrie manufatturiere. Nell’Ottocento vi fu allocato un Tribunale per Minorenni e poi, nel Novecento, un Istituto di rieducazione e pena per Minorenni, che venivano però assistiti e rieducati in scuole dedicate. Da qui al “serraglio” il passo fu breve e – per i Napoletani – il Palazzo dei Poveri fu identificato prevalentemente con in nome ‘o serraglio.
Che ci azzecca – penserà a questo punto il lettore – ‘o serraglio con le Quattro giornate che fanno di Napoli la prima Città europea che, durante la Seconda Guerra Mondiale, il 27 settembre 1943, si sia ribellata alla protervia nazista, con una ribellione popolare e corale, battendo e mettendo in fuga l’esercito occupante?
Ci azzecca e come!
E, per dimostrare questa tesi, nei prossimi giorni a Pompei, in occasione dell’Ottantennale, quindi il 27 di settembre, mercoledì, presso il Palazzo De Fusco sede del Comune di Pompei, per iniziativa della UNITRE, ben diretta dalla prof. Maria Tiseno, si terrà la Celebrazione delle QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI “La Rivolta di un popolo unito”.
Un Testimone diretto della vita nel Serraglio, il prof. Giuseppe Marmo, affiancherà il Relatore, l’ing. Giovanni D’Amato, autore di uno studio personale e diretto da fonti private dedicato alla memoria del padre, militare reduce dalla Campagna di Russia e tra i protagonisti a Napoli della rivolta e della mobilitazione dei circa trecento giovani ospitati presso ‘o Serraglio del Palazzo de’ Poveri ‘e Napule.
Armati con armi di vario tipo e provenienza per la liberazione di Napoli dalle truppe tedesche, divenute brutali occupanti dacché erano alleate in una guerra comune. Una tesi e una lettura storica nuova e coraggiosa, la quale apre preziosi squarci di verità nella vulgata della epopea pre-resistenziale. L’Italia era allo sbando. Non erano ancora passati 20 giorni dall’Otto di Settembre del 1943, quando un Re in fuga aveva umiliato la nazione e il suo popolo, rimasto solo e diviso in fazioni ferocemente avverse, tra fascisti, antifascisti, monarchici e antimonarchici. In quella Italia ferita a morte, insomma, fu la città di Napoli a indicare per prima agli Italiani la strada del riscatto, attraverso la ribellione, anche grazie ai minorenni del serraglio del Real Albergo Poveri di Piazza Carlo III.
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Bel ed interessante articolo dell arch. Federico. Complimenti
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