Quali sono le conseguenze in materia di dedollarizzazione? L’uso internazionale del dollaro è stato, nei fatti, rimesso in discussione dalle sanzioni adottate dal marzo 2022 dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. La Russia in primis, seguita a ruota da numerosi Paesi (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, India…), ha puntato sull’impiego di monete alternative nelle transazioni con l’estero.
La Cina stessa ha pubblicamente dichiarato che, qualora gli Stati Uniti avessero continuato a militarizzare l’egemonia del dollaro, non avrebbero fatto altro che accelerarne il deprezzamento; avrebbero tratto maggior vantaggio astenendosi dall’utilizzare la politica economica come mezzo di pressione sugli altri Paesi, al fine d’indurli ad accondiscendere alle esigenze americane.
Di fatto, la Cina ha già sviluppato il complesso di istituzioni finanziarie necessario per facilitare l’internazionalizzazione dello yuan-renminbi. L’ex Celeste impero ha approntato un sistema alternativo di pagamenti transfrontalieri (Cips) per competere con il Fedwire e il Clearing House Interbank Payments System. I sistemi di pagamento cinesi Alipay e Tencent, poi, sono largamente utilizzati all’estero. Per finire, i Brics hanno avviato trattative per l’introduzione di una moneta comune utile a regolare le transazioni fra i Paesi membri.
Tutto questo induce a pensare che un’accelerazione del processo, per come lo analizza Giacomo Gabellini, sia in corso. Occorre tuttavia evitare di sottovalutare le difficoltà ancora da superare. È importante ricordare anche che, in occasione del suo intervento di chiusura del Forum di San Pietroburgo del 2023, Vladimir Putin ha precisato che la dedollarizzazione non era, di per sé, l’obiettivo della Russia, né tale processo sarebbe necessariamente nell’interesse dell’economia mondiale.
Allo stesso tempo, Putin ha insistito sulle legittime inquietudini riguardo alla debolezza della valuta americana, e sull’incremento costante delle operazioni effettuate in valute alternative al dollaro. Anche se è difficile formulare pronostici su come si svilupperà il processo di dedollarizzazione, pare quantomeno accertato che una simile dinamica evolutiva, seppur relativamente lenta, avrà luogo.
L’egemonia del dollaro non sparirà da un giorno all’altro, ma la moneta statunitense vedrà comunque regredire progressivamente la propria influenza e diffusione, arrivando a coprire una quota ben più ridotta – compresa con buona probabilità tra il 25 per cento e il 30 per cento – degli scambi mondiali. Di fatto, il processo analizzato da Giacomo Gabellini nel presente libro corrisponde, con più di sessant’anni di scarto, a quanto anticipato dall’economista Robert Triffin.
E da cosa sarà rimpiazzato il dollaro? Assistiamo già all’affermazione, tra le valute delle Banche centrali, di un gruppo di “piccole monete” arrivate ormai a insidiare la posizione dell’euro, che copre una quota pari al 20 per cento delle riserve valutarie mondiali. Vedremo emergere da questo gruppo monete come lo yuan-renminbi o la
rupia? Non è impossibile. Assisteremo anche all’affermazione progressiva della moneta comune dei Brics?
Si tratterebbe con ogni probabilità della soluzione migliore, che richiede però tempo in quanto presuppone un livello di cooperazione fra i Paesi membri dell’organismo raggiungibile soltanto attraverso la costruzione di una serie di istituzioni comuni. C’è però dell’altro. Il processo di dedollarizzazione, e questo è forse l’apporto più importante di questo libro, non condurrà semplicemente alla fine di un’egemonia monetaria, come accaduto alla sterlina 16 nel periodo compreso tra gli anni Trenta e Cinquanta del XX secolo. Questo processo costituisce parte integrante di una dinamica evolutiva molto più importante: quella della de- globalizzazione e della de-occidentalizzazione del mondo.
Nel corso del vertice dei Brics tenutosi nel 2022 a Pechino, Vladimir Putin ha proclamato5 l’intenzione di sviluppare un sistema unico di pagamenti transnazionale (Brics Pay) che consenta l’impiego delle rispettive monete nazionali come base diretta di scambio per i pagamenti esterni. Interconnettendo i sistemi di pagamento
nazionali (Elo brasiliano, Mir russo, RuPay indiano e Union Pay cinese; il Sud Africa non possiede ancora una propria infrastruttura), Brics Pay si candida a soppiantare gradualmente i circuiti Visa e Mastercard nel quadrante asiatico.
L’Eurasia è il continente più L’economia mondo sta cambiando gli assi di riferimento. esteso al mondo e l’asse geopolitico del pianeta. Una potenza in grado di dominarla controllerebbe due delle tre più avanzate ed economicamente produttive regioni 107 del mondo rendendo l’emisfero occidentale e l’Oceania geopoliticamente periferici. Circa il 75 per cento della popolazione mondiale vive in Eurasia, e gran parte delle risorse naturali si trovano lì.
La Belt and Road Initiative, il grande progetto di creazione di una rete infrastrutturale terrestre e marittima promosso dalla Cina, ottempera a tutti i requisiti necessari fungendo da «base per un nuovo ordine globale», sostenuto da un altro, fondamentale pilastro: la Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep).
Si tratta di un’area di libero scambio patrocinata dalla Repubblica popolare cinese di cui fanno parte quindici Paesi asiatici che rappresentano oltre il 30 per cento della popolazione, del Pil, degli scambi commerciali e degli investimenti su scala globale. Nel 2020, alla vigilia dell’entrata in vigore della Rcep, l’interscambio commerciale tra Stati Uniti e Asean pesava per 362 miliardi di dollari; quello tra Cina e Asean per 685 miliardi.
I numeri stanno ad indicare che l’incidenza del dollaro sulla struttura economica e finanziaria internazionale sta cominciando a calare. Le attività in dollari detenute dal circuito bancario internazionale sono calate da 7.085 a 6.471 miliardi di dollari tra il dicembre del 2021 e il dicembre 2022. Uno studio realizzato nell’aprile del 2023 dalla Eurizon Slj Asset Management ha delineato un quadro ancora più preoccupante, dal quale emerge che, tenendo conto delle variazioni sui tassi di cambio, il dollaro avrebbe perso grosso modo l’11 per cento della sua quota di mercato dal 2016 e circa il doppio rispetto al 2008.
La moneta Usa copriva circa due terzi delle riserve monetarie mondiali nel 2003, il 55 per cento nel 2021 e il 47 per cento nel 2022. «Questo calo dell’8 per cento nell’arco di un anno», hanno concluso Joana Freire e Stephen Jen, autori dell’analisi, è eccezionale, pari a dieci volte il tasso medio annuo di erosione della quota di mercato del dollaro registrato negli anni precedenti.
Il processo di deterioramento dello status del dollaro come valuta di riserva ha subito
un’accelerazione negli ultimi anni ad un ritmo allarmante. Anche Jp Morgan Chase è tornata sull’argomento rilevando la presenza di «alcuni segnali di dedollarizzazione» e precisando che si tratta di una tendenza destinata con ogni probabilità a persistere. Specialmente alla luce del frenetico attivismo dei Brics, i cui sforzi congiunti finalizzati all’introduzione di una valuta comune sostenuta da un paniere di materie prime e commodity pongono automaticamente le condizioni per la nascita di un mercato obbligazionario collettivo sufficientemente ampio, robusto e affidabile da insidiare quello degli Stati Uniti.
Si tratterebbe di una svolta sotto molti aspetti analoga a quella varata nel 1917 dagli stessi Usa, che sotto la presidenza di Woodrow Wilson allargarono la platea dei potenziali acquirenti dei titoli di Stato, fino ad allora limitata ai soli professionisti, all’intera cittadinanza. L’acquisto “di massa” dei Liberty Bond assicurò al governo la
possibilità di finanziare lo sforzo bellico sostenuto durante la Prima guerra mondiale. Al giorno d’oggi, il passaggio chiave coincide con la creazione di un mercato obbligazionario unificato che riunisca l’intero blocco del Brics e si rivolga agli investitori al dettaglio disseminati all’interno di tutti gli Stati membri. Sul piano tecnico, i titoli, denominati nella valuta dei Brics ma acquistabili in valuta locale a tassi di cambio da fissare sul mercato, verrebbero commercializzati attraverso intermediari quali banche, uffici postali e altri punti vendita al dettaglio.
Ci vorrà tempo prima che un simile mercato susciti l’interesse degli investitori istituzionali, ma, nel frattempo, gli investimenti dettaglio in titoli denominati nella valuta dei Brics in India, Cina, Brasile, Russia e altri Paesi potrebbero assorbire i surplus commerciali del blocco.
L’attuazione di questo progetto potrebbe configurare lo sviluppo più significativo della finanza internazionale dal 1971, perché una valuta sovranazionale ancorata a beni materiali e supportata da un mercato obbligazionario unificato come quella messa in cantiere dai Brics avrebbe concrete chance di «sostituire il dollaro come principale valuta di pagamento e riserva di valore. Il processo, che potrebbe giungere a compimento nell’arco di pochi anni, non ha precedenti.
Il mondo non è preparato per uno shock geopolitico del genere», benché questi temi siano stati trattati e approfonditi pubblicamente in occasione del forum economico di San Pietroburgo del giugno 2023. Naturalmente, la contestuale, declinante appetibilità internazionale dei titoli di Stato Usa comporta pesanti ricadute inflazionistiche, che vanno a sommarsi a quelle derivanti dal netto allentamento della presa statunitense sui Paesi produttori di petrolio. Il rapido affrancamento dell’Opec dalla “tutela” di Washington si è infatti tradotto nell’adozione di politiche petrolifere smaccatamente disallineate rispetto agli interessi Usa.