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La crisi immobiliare cinese e l’economia mondiale

by Pietro Spirito
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Dall’inizio del nuovo millennio l’economia internazionale procede per crisi successive e ravvicinate. È iniziato tutto con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle, quasi ventidue anni fa, per poi passare al crollo borsistico statunitense del 2007 per effetto dei mutui subprime e degli strumenti finanziari derivati. Nel 2011 venne la crisi dei debiti sovrani, con ripercussioni soprattutto in Europa, con la bancarotta greca e le difficoltà per gli spread dell’Italia e della Spagna. Passa solo qualche anno ed arriva il blocco dell’economia per effetto della crisi pandemica, tra il 2019 ed il 2020. Come nelle precedenti tornate, le banche centrali reagiscono immettendo enorme liquidità sui mercati per uscire dalle secche della paralisi. Neanche il tempo di prendere fiato, ed il conflitto russo ucraino apre un altro fronte di caduta dell’economia internazionale, con la forte fiammata inflazionistica, che comporta la dura reazione delle banche centrali stavolta mediante l’aumento dei tassi di interesse e le conseguenti politiche restrittive.

Questo riepilogo delle revisioni economiche nei primi due decenni del terzo millennio serve a dare anche una chiave di lettura per quello che sta accadendo in queste settimane, vale a dire il rallentamento dell’economia cinese e le drammatiche difficoltà che ora stanno fronteggiando sui mercati alcuni colossi della principale economia asiatica.

Dalla guerra russo ucraina e dalla ripresa dell’inflazione indebitarsi costa molto di più, mentre nei due decenni precedenti il costo del denaro è stato spesso anche negativo. In Cina il settore immobiliare è la spina dorsale dell’economia, pesa per circa il 30%: i drammatici processi di inurbazione hanno richiesto programmi faraonici di costruzione di case, di edifici pubblici e di infrastrutture. Questa componente ha rappresentato una delle spinte principali nella formidabile crescita dell’economia cinese.

Durante la fase espansiva, i conti tornavano tutti: i soggetti del mercato immobiliare si indebitavano a basso prezzo e con facilità, le vendite erano estremamente rapide, i prezzi in aumento, così come i rendimenti per i finanziatori, che arrivavano sino al 15%. In questo periodo lo spazio medio per cittadino cinese, che era di 7,1 metri quadrati nel 1990, ha raggiunto i 48,7 metri quadrati nel 2022, sostanzialmente equivalente alle migliori economie sviluppate dell’occidente.

Poi tutto e cambiato, in pochissimo tempo. Il rallentamento dell’economia cinese ha bloccato lo sviluppo immobiliare, il debito è cresciuto con estrema rapidità, gli incassi sono rallentati, le società immobiliari si sono trovate nella condizione di non poter pagare le cedole delle obbligazioni che avevano contratto sul mercato. Il tasso di crescita della Cina continua a calare: era previsto in aumento del 5,1% nel 2023, ora è stimato pari al 4,6%.

Arriviamo ai nostri giorni. China Evergrande, il principale sviluppatore immobiliare cinese, ha dovuto chiedere il Chapter 15 in Usa, per rinegoziare il piano di ammortamento dei suoi debiti. Per dare un’idea della dimensione di Evergrande, parliamo di una società che possiede 565 milioni di metri quadrati di terreni da sviluppare e in portafoglio ha progetti immobiliari in 22 città. Si allarga in altri servizi, a cominciare dal turismo, investe nella sanità e nel calcio. Oggi ha un debito di 340 miliardi di dollari ed ha perso, tra il 2021 ed il 2022, 81 miliardi di dollari.

Non è solo Evergrande a ballare sui mercati. Country Garden, altro primario operatore immobiliare, e la società di trust Zhongzhi Enterprise cominciano a scricchiolare e non hanno onorato il pagamento di cedole su prestiti obbligazionari. In uno scenario di politiche restrittive del credito e di alti tassi di interesse, il rischio di un avvitamento di queste crisi non va assolutamente escluso, come non si possono escludere effetti di ricadute a catena come accadde con il fallimento di Lehman.

Gli equilibri di potere tra le economie del mondo in questi decenni sono completamente cambiati, eppure viviamo ancora dentro le regole stabilite sostanzialmente con la conferenza internazionale di Bretton Woods nel 1944. Per tentare di costruire una maggiore stabilità sarebbe necessaria una nuova conferenza internazionale per le nuove politiche monetarie ed economiche internazionali.

Ma esiste la volontà politica per affrontare una cooperazione internazionale in una geopolitica che si sta sempre più divaricando?