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Pnrr, requiem per la rigenerazione urbana

by Alessandro Bianchi
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Alla fine il Governo ha deciso: la “Rigenerazione urbana” è esclusa dai finanziamenti del PNRR.

E’ scritto a chiare lettere nelle “Proposte per la revisione del PNRR e capitolo RepowerEU” diramate il 27 luglio scorso dal Ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, che complessivamente cancella investimenti per poco meno di 16,00 miliardi di euro: una cifra impressionante.

 

 

Per la Misura M5-C2 riguardante la rigenerazione urbana, il testo dice: “in linea generale (…) alcuni interventi del Piano hanno lasciato emergere nella fase attuativa criticità tali da poterne compromettere l’ammissibilità e/o generare il rischio concreto di mancato conseguimento dei target previsti.

Intanto appare sconcertante che si dica che le criticità sono emerse “nella fase attuativa”, il che fa pensare che gli interventi siano stati finanziati e già in fase di cantiere, il che evidentemente non è possibile e, dunque, dobbiamo pensare che si tratta di una improprietà di linguaggio.

Poi più avanti il testo informa che “in altri casi, nella fase attuativa sono state individuate alternative migliori agli interventi originariamente proposti che garantiscono comunque il conseguimento dei medesimi obiettivi di policy.

Per questi altri casi, scontando il ripetersi dell’errore di parlare di “fase attuativa”, sarebbe utile sapere quali siano le alternative migliori rispetto a quelle originarie e anche chi è che ha deciso e con quale competenza di cambiare progetti già approvati.

In ogni caso la conclusione è che gli interventi per la Misura M5C2 di cui è titolare il Ministero dell’Interno – “Investimenti in progetti di rigenerazione urbana volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale” e Piani urbani integrati”, vengono esclusi dal PNRR e dirottati su fonti di finanziamento nazionali, per un ammontare di 3.3 miliardi di euro.

Per uscire dalle ambiguità presenti nella proposta di revisione, si tratta dell’abbandono del “Progetto Rigenerazione Urbana” presente nell’originaria formulazione nel 2020 del PNRR, finalizzato “a fornire ai comuni contributi per investimenti nella rigenerazione urbana (…) e alla rifunzionalizzazione di spazi e manufatti – esistenti e inutilizzati, pubblici e privati con l’introduzione di nuove iniziative”.

Dunque allora si era colta l’importanza della rigenerazione urbana e si erano stanziate risorse rilevanti – 2,8 miliardi – per attuarla. Il dirottamento su altre fonti finanziarie significa avviare programmi e progetti già presentati su percorsi tutti da inventare, cosa che ricadrà soprattutto sui Comuni.

Le conclusioni che si possono trarre da questa poco edificante vicenda sono molteplici.

Prima osservazione

Un’eclatante anomalia – presente già nell’impianto originario – è costituita dal fatto che gli investimenti per la rigenerazione urbana – unitamente a quelli per i piani urbani integrati – sono affidati al Ministero degli Interni.

Quale ratio sostiene una simile anomalia? Quali competenze ha quel Ministero in materia di città e territorio?

Se dipende dal fatto che l’obiettivo è quello dichiarato di “ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale”, ebbene si tratta di un obiettivo tanto giusto quanto parziale e riduttivo: i problemi delle città sono solamente l’emarginazione e il degrado sociale? E’ una visione che palesa una totale misconoscenza della realtà di cui si occupa.

Seconda osservazione

Dall’insieme del provvedimento di revisione di cui stiamo parlando emerge una incredibile indifferenza nei confronti di alcuni dei problemi più gravi e attuali del territorio. Come spiegare altrimenti l’esclusione delle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico”? o la “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano”? o gli “Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni”?

E’ evidente la mancanza di una cultura della città, del territorio, dell’ambiente e del paesaggio, e la sottovalutazione del ruolo che queste componenti giocano nella complessiva organizzazione della società.

 

Il patrimonio dismesso

  • Aree industriali: 9.000 kmq
  • Edifici e complessi edilizi: 750.000
  • Monumenti e siti storici: 50.000
  • Chiese e complessi religiosi: 20.000
  • Impianti sportivi: 25.000
  • Edifici e siti militari: 1.800
  • Reti ferroviarie: 1.600 km – Stazioni: 1.700
  • Miniere: 3.000 – Cave: 14.000
  • Case cantoniere: 600

 

Terza osservazione

Appare una totale mancanza di consapevolezza di quale sia l’entità del patrimonio immobiliare dismesso presente nel nostro Paese.

Pur in assenza di rilevamenti sistematici e di fonti informative ufficiali, esiste già un quadro d’insieme impressionante dell’entità del patrimonio immobiliare dismesso. Basta citare le due tipologie più presenti anche nella percezione comune: le aree industriali, che coprono una superficie di 9.000 Kmq, vale a dire pari a quella di una intera regione come le Marche; le linee ferroviarie, in numero di 1.600 Km, cui si accompagnano 1.700 stazioni.

Quarta osservazione

Riguarda l’incapacità di capire che l’unica strada percorribile per invertire la logica dell’espansione urbana e del consumo di suolo senza limiti che ha inferto danni gravi al nostro Paese, è quella di mettere la rigenerazione urbana al centro dei processi di governo del territorio e della politica urbanistica. Averla portata all’attenzione nell’originale PNRR era un segnale, sia pure flebile, ma positivo. Averla espulsa dal PNRR è anch’esso un segnale, ma fortemente negativo e indice di malgoverno della cosa pubblica.