La brucellosi bufalina in Campania non è solo una storia di malasanità, ma di riorganizzazione del capitalismo agricolo.
4. La suddivisione dei territori
Sia la norma statale sia quella regionale dividono il Paese in territori indenni da infezione e territori non indenni, ma la Regione Campania ha introdotto una ulteriore differenziazione all’interno di questi ultimi, identificando con il termine “area cluster” i comuni del Casertano più colpiti dalle malattie. Questa ulteriore demarcazione non è di poco conto, perché attribuisce all’ente regionale il potere discrezionale di decidere della vita e della morte dei casi sospetti.
Nelle zone non indenni presenti nelle aree cluster della provincia di Caserta, infatti, in presenza di un focolaio già confermato, basta il riscontro positivo a una semplice attività di screening come il siero agglutinazione rapida per dichiarare infetto l’animale e macellarlo “obbligatoriamente”, “nel più breve tempo possibile” e “comunque entro massimo quindici giorni dalla notifica di positività”.
L’ordinanza ministeriale, invece, richiede come presupposto della macellazione anche la positività alla prova della fissazione del complemento. In Campania la situazione non cambia di molto nelle aziende indenni (quindi senza focolaio) ma ricadenti in aree cluster.
Anche in questo caso, la prova della fissazione del complemento non è necessaria se la SAR ha dato esito positivo: gli animali vengono considerati sospetti, abbattuti e la qualifica dell’azienda viene sospesa in attesa dei risultati ottenuti da un’ulteriore indagine epidemiologica.
Al contrario, l’ordinanza ministeriale è molto precisa nel disciplinare i casi di stabilimenti indenni da infezione, perché se un animale risulta positivo alla FDC e negativo (o positivo) alla SAR, viene considerato un caso sospetto su cui effettuare le prove di isolamento dell’agente patogeno richieste dal regolamento europeo.
Invece, se l’animale risulta positivo alla SAR e negativo alla FDC, rientra nei casi dubbi su cui vanno ripetute entrambe le prove e richiesto l’intervento dell’Istituto Zooprofilattico e del Centro di referenza nazionale per la brucellosi per ulteriori approfondimenti diagnostici. L’abbattimento dei casi sospetti, inoltre, è previsto soltanto se non è possibile garantire un efficace isolamento dell’animale e se il servizio veterinario locale ritenga necessario eseguire test antigenici e isolamento sulla carcassa a scopo conoscitivo.
In quest’ultimo caso, l’ordinanza ministeriale lancia comunque un salvagente alla Regione Campania perché consente alle autorità competenti locali di optare a loro scelta per l’abbattimento già in prima istanza (senza passare cioè per l’isolamento e il divieto di movimentazione degli animali), con la conseguenza che lo stabilimento diventerà automaticamente sospetto di infezione e la qualifica verrà ritirata fino ai risultati dei nuovi prelievi da effettuarsi sui capi rimasti in stalla nelle tre settimane successive all’abbattimento.
La giustizia, però, non sembra essere stata finora dalla loro parte anche se, assieme all’avvocato Giovanbattista Iazzeolla che assiste alcuni di loro in questo lungo iter giudiziario, c’è stato un momento in cui gli allevatori casertani hanno creduto che la situazione potesse evolversi a loro favore.
Dopo una pronuncia negativa del Tar di Napoli contro i provvedimenti di abbattimento dell’Asl di Caserta, il 30 aprile 2021 la terza sezione del Consiglio di Stato, presieduta dallo scomparso Franco Frattini, rileva “un evidente contrasto circa la rilevanza e sicura attendibilità dei test sierologici effettuati dall’Asl” e, tenendo conto dei risultati delle prove post-mortem, accoglie la richiesta degli allevatori sostenendo che “l’unica ragionevole strada da percorrere sarebbe stata quella di accertamenti più approfonditi in vita e metodologicamente differenziati tra loro”.
Dunque il giudice congela gli abbattimenti decisi e, qualche mese più tardi, chiede all’Istituto Superiore di Sanità di “aggiornare lo studio e identificare nuovi metodi di rilevamento del batterio della brucellosi” e delega il Centro di referenza nazionale per la brucellosi (che ha sede presso l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo) di svolgere “nuove ed approfondite analisi, non limitate alle contestate analisi sierologiche”.
Le nuove analisi vengono effettuate a cavallo tra l’estate e l’autunno del 2021 ma senza la presenza dei periti nominati dagli allevatori. Sarà ancora una volta l’avvocato Iazzeolla a richiedere che la procedura venisse espletata in contraddittorio tra le parti anche in sede di analisi e a pretendere ulteriori verifiche negli allevamenti sullo stato di salute degli animali.
Le cose sembrano mettersi bene per allevatori ed animali ma il 3 novembre scorso il nuovo presidente della terza sezione del Consiglio di Stato Luigi Maruotti spegne ogni loro speranza. La sentenza stabilisce che Regione Campania e Asl di Caserta hanno rispettato le norme europee, compreso l’articolo 9 del regolamento 689/2020, che i metodi diagnostici utilizzati “avvalorati da qualificati organi tecnici nazionali ed internazionali” costituiscono “organizzazione ed autolimitazione della discrezionalità tecnico-scientifica spettante alle amministrazioni statale e regionale” e che, allo stesso tempo, rappresentano “un punto di equilibrio tra l’interesse pubblico alla tutela igienico-sanitaria e quello dell’allevatore ad evitare l’abbattimento dei capi che potrebbe rivelarsi non necessario”.
Il giudice quindi non esclude la possibilità che i test diagnostici possano rilevare casi di falsi positivi o di falsi negativi. Tuttavia ritiene che questa eventualità “costituisca un evento contenuto entro margini statistici”. Gli allevatori si vedono così negato anche il diritto di ottenere ulteriori indagini diagnostiche “perché – si legge nella sentenza – non sono previste nel quadro normativo” e di effettuare una controperizia sui test effettuati dall’Asl “perché non è applicabile alle attività ufficiali inerenti ai piani di eradicazione”. Il ricorso è respinto e gli animali vengono abbattuti perché il provvedimento è definitivo.
Più recentemente, a febbraio 2023, il Consiglio di Stato ha accolto i ricorsi di tre diverse aziende e, in attesa del giudizio di merito, ha sospeso in via cautelare gli abbattimenti. L’ingente numero di falsi positivi dipendeva dal tipo di test effettuati, SAR e FDC, esami sierologici indiretti. Gli accertamenti post mortem, effettuati a campione dall’istituto zooprofilattico, sono invece diretti e hanno accertato la negatività nella quasi totalità dei capi abbattuti.
Per questa ragione il Consiglio di Stato ha affidato ad una terna di esperti una perizia mirata ad analizzare in profondità le dinamiche di politica sanitaria che si sono determinate con l’obiettivo di ridurre il danno, affermando la prevalenza del principio di proporzionalità sul principio di precauzione.
Nella legislazione europea e nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Ue, a differenza della normativa italiana, a prevalere è il principio di proporzionalità: se si infligge una sanzione a un soggetto, deve esistere una proporzione tra il danno arrecato e il beneficio che se ne ricava. Questa proporzione non è stata rispettata. Il beneficio per la tutela della salute pubblica, inoltre, non è chiaro perché dalle analisi post mortem gli animali risultano quasi tutti sani.
Puntate precedenti:
- https://www.genteeterritorio.it/linchiesta-brucellosi-bufalina-in-campania-1-la-decimazione-agricola/
- https://www.genteeterritorio.it/linchiesta-brucellosi-bufalina-in-campania-2-le-origini/
- https://www.genteeterritorio.it/linchiesta-brucellosi-bufalina-in-campania-3-regole-e-test/