“Bagnoli doveva diventare il simbolo della rinascita, ora è soltanto l’emblema della disfatta”. Questa frase di Edoardo Bennato, che ha il merito della sintesi di una lunga storia, sta nel frontespizio del libro a cura di Massimiliano Bonardi, “Bagnoli. Passato, presente, futuro”, pubblicato da Valtrendeditore.
Il volume è stato presentato e discusso domenica scorsa all’Auditorium della Porta del Parco in un dibattito partecipato. Riavvolgere il nastro e riscoprire il senso di una storia allegorica rispetto al declino dell’Italia e del Mezzogiorno è sempre opportuno. Bagnoli nasce – ad inizio del Novecento – come un incubatore industriale, sotto l’impulso di Francesco Saverio Nitti.
Lo stabilimento siderurgico dell’Ilva inizialmente occupa una superficie di soli 120 ettari, per arrivare poi, all’apice dello sviluppo produttivo, ad occupare 2 milioni di metri quadrati, con 8.000 operai diretti ed un indotto che determinava una occupazione complessiva di circa 25mila unità lavorative.
Al vertice della siderurgia pubblica erano presenti dirigenti di altissimo valore professionale come Oscar Sinigaglia e Francesco Giordani: quest’ultimo si scontrò con Agostino Rocca per sviluppare lo stabilimento di Bagnoli rispetto alla ipotesi si costruire un terzo centro siderurgico a Cornigliano. Dopo le distruzioni determinate dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, furono gli operai a riprendere la produzione riparando gli impianti nel 1946 e ripristinando il ciclo completo dell’attività.
Negli anni del miracolo economico lo stabilimento di Bagnoli si modernizza e cresce sino a raggiungere una capacità produttiva di 2,3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Ma dall’inizio degli anni Settanta lo scenario attorno alla fabbrica cambia. Il consiglio comunale di Napoli approva nel 1972 il nuovo piano regolatore, che prevede che il 30% della superficie totale dell’area lungo la fascia costiera venga attrezzata con impianti turistici ed il restante 70% ad attività di tipo manifatturiero ad elevato contenuto tecnologico.
Proprio mentre alla fine degli anni Settanta lo stabilimento di Bagnoli raggiunge il livello massimo di occupazione, si pongono le premesse per il declino e la chiusura. Viene assunta la decisione di costruire il quarto centro siderurgico di Taranto, dotato delle tecnologie più all’avanguardia, mentre Bagnoli comincia il suo declino che parte dalla progressiva obsolescenza degli impianti.
Quando vengono assunte le decisioni di effettuare investimenti robusti a Bagnoli è troppo tardi, anche perché le quote nazionali per la produzione dell’acciaio su scala comunitaria impongono decisioni di restrizione della capacità produttiva costringendo a ridurre gli impianti.
Nonostante questa consapevolezza, vennero egualmente assunte decisioni per effettuare imponenti investimenti a Bagnoli, per un valore di 1.200 miliardi delle vecchie lire. Quando gli impianti furono smantellati, queste attrezzature furono vendute a cinesi ed indiani per un corrispettivo complessivo di 20 miliardi di lire. Bagnoli chiude definitivamente nel 1992, dopo una lunga e lenta agonia.
Comincia la lunga e lenta falsa partenza per la rinascita, con il corollario di montagne di carte e di chiacchiere che non generano assolutamente nulla. Il primo ciclo di bonifica di Bagnoli costa 102 milioni di euro, ma porta assolutamente a nulla. A settembre del 2012 esplode lo scandalo giudiziario, che poi dura sostanzialmente un decennio, non portando assolutamente ad alcuna conclusione convincente.
Il libro racconta l’esperienza dell’associazionismo sul territorio di Bagnoli, il faticoso tentativo di mantenere da un lato la coesione del territorio e dall’altro il dialogo con le istituzioni, pur nella crescente difficoltà di continuare a credere nei risultati mentre il tempo continuava a dilatarsi.
L’Arci Mare Bagnoli ha svolto un ruolo centrale nella costituzione di quel collante necessario a tenere unito un territorio che andava intanto spopolandosi, avendo perduto la funzione originaria manifatturiera e non avendo ancora acquisito le nuove identità sulle quali comunque il dibattito spesso è stato confuso e contraddittorio, mai compiutamente concluso.
Nel 2015 riparte la seconda stagione di bonifiche, con la scelta di un soggetto attuatore e la nomina di un commissario di governo. Qualcosa comincia finalmente ad essere completato. L’area ex-Eternit, che era infestata di amianto, è stata bonificata e può cominciare ad esser destinata a nuove funzioni.
I tempi non saranno certamente brevi. Il sub-commissario Dino Falconio ha detto, rispondendo alla intervista che è riportata nel libro, che le operazioni di rigenerazione urbana si completeranno a marzo del 2029. Ciò non significa ovviamente che in questo periodo non accadrà nulla: progressivamente saranno realizzati interventi per dare vita al territorio di Bagnoli. La matassa giuridica comincia a dipanarsi. E’ stato risolto un complesso groviglio giuridico tra tanti soggetti pubblici che si erano rivolti alla giustizia per tutelare le proprie specifiche posizioni.
Il piano finanziario per il completamento della bonifica e per la rigenerazione di Bagnoli è imponente: parliamo di 1,8 miliardi di euro, di cui 450 milioni sono stati già stanziati. Nel corso dei prossimi anni sarà necessario ancora stanziare i finanziamenti necessari.
Restano alcune questioni strategiche che devono essere definite, per avere certezza sul percorso dei prossimi anni. Una questione di fondo riguarda la rimozione della colmata, che è stata uno dei totem nel corso di questi decenni. Una legge dice che bisogna ripristinare la linea di costa originaria, elemento che in realtà non dice nulla di certo.
Con molta probabilità si potrebbe solo resecare una parte della colmata oppure mantenerla, perché la rimozione è certamente molto più impattante per l’ambiente e perché i costi sono stellari: 250 milioni di euro per la pura operazione di rimozione ed almeno altrettanti per i costi di smaltimento dei materiali. Appare evidente che questo tema della colmata costituisce un drammatico macigno per il futuro, trattato sinora con la retorica vuota della irresponsabilità.
Altra questione riguarda il parco pubblico, che oggi è dimensionato su una parte estremamente rilevante della intera area. Chi lo terrà in efficienza ed in manutenzione? Con quali risorse finanziarie? Si corre il rischio che due terzi dell’area diventino in tempo breve più un territorio di degrado che una opportunità di sviluppo.
Oltretutto, è proprio il terreno dove si dovrà realizzare il parco pubblico che determina il periodo più lungo per la bonifica, in quanto l’applicazione della tecnica della phytoregeneration è molto lunga per garantire il miglior risultato poi compatibile con la destinazione a parco pubblico. Dimensionare in modo meno radicalmente invasivo l’area destinata al parco pubblico significa anche contrarre i tempi per il completamento della bonifica, oltre a rendere meno oneroso il quadro di un costo di gestione che non genera ricavi per bilanciare i costi di manutenzione.
Questi temi, assieme alla definizione del piano delle infrastrutture per la mobilità, sono le questioni che impongono una decisione chiara e soprattutto definitiva. Dopo tanti decenni di false partenze e di ritardi spesso colpevoli, Bagnoli merita un percorso chiaro e trasparente. Lo meritano anche cittadini ed associazioni che hanno sinora responsabilmente interpretato il proprio ruolo nella speranza di un futuro migliore.