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Napoli-Eintracht. Un campo di battaglia

by Vito Nocera
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Scarsa capacità di prevedere e poi di gestire la piazza. Poi mille e mille asprezze individuali che fermentano un pericoloso fenomeno sociale. Gruppi organizzati – non è una novità – vivono il pallone come occasione di scontro, tra loro e con il potere costituito.

Sentimenti distorti, orgoglio, onore, nazionalismo e campanilismo. Non di rado anche razzismo e reminiscenze di nazifascismo. Il calcio c’entra poco, anzi nulla.

Semmai è (sarebbe) potente generatore di forza creativa e di poesia. Bellezza, festa, gesti atletici di straordinario valore.

E dribbling, carezze al pallone, passaggi con invenzioni d’esterno.

Ci piacerebbe racchiudere tutto in questa gioia. Ma quello che accade, scontri, prepotenze, violenze, servono a ribadirci che non c’è sviluppo lineare delle cose. Che nella realtà esiste l’imprevisto, esiste il contrasto, che anzi è proprio il contrasto a caratterizzare tutte le cose della vita.

In natura non c’è uno sviluppo ordinato e pacato che viene poi corrotto, deviato, e che diviene l’irregolare. È proprio la natura stessa a produrre l’irregolarità, spesso il mostruoso, milioni di esistenze – quelle davvero sì – in gara fra loro. Forse che il campo di battaglia di oggi a Napoli non ricorda – per insensatezza e irrazionalità – ben altri campi di battaglia?

Alcuni vicini, nel cuore d’Europa, e con protagonisti Paesi ritenuti civili. Il male serpeggia e permea le cose, ovviarvi è gesto alto, sublime, di chi sa pensare, chi impara a padroneggiare la propria materia grigia. Cosa piuttosto rara.

Una violenza inaudita sta direttamente nelle arterie del globo, senza regolazione, nessuna disciplina. Anche per una seria azione di repressione, con la fermezza e il polso necessari, necessita essere una comunità. Non solo insieme di individui.

Pulsioni e rivolte cieche se ne producono tante, ogni gesto, desiderio, azione, è sempre al limite tra bene e male. È la comunità, la socialità, la società, che ammortizza e trasforma. E che ha la patente per il monopolio della forza, la sua carica di ordine e repressione insieme. Senza società siamo al caos di Joker, ai conflitti senza un senso e ora a scala globale.

Sorprende sentire di frange di tedeschi e bergamaschi insieme? Vero ma non me ne meraviglio.

Sono in fondo un pezzo dell’Europa, il più spocchioso e distante da nostre abitudini e culture.

Un caos danzante del tipo di quello di cui parlò Nietzsche.

Se da noi – importato dagli Usa – perfino il conflitto politico ormai si svolge tutto tra simil trumpiani e liberal radicali è chiaro che non entra più in gioco l’idea che il capitalismo va assoggettato al controllo sociale negoziale. E chi ci pensa più.

Non è solo novità che irrompe ai vertici. L’ opera di modernità distorta è già compiuta, ha già ridotto a sé folle adoranti, che però così non sfuggono alla solitudine, all’inedia esistenziale e culturale.

Per carità nessuna sociologia. Quattro (o quattrocento) provocatori scalmanati vanno resi inoffensivi e puniti con energia. Ma se non senti di averne legittimazione a farlo, se non hai una società cui riferirti, se sei solo un punto del caos, è chiaro che tergiversi e perdi.

Non ci dice forse questo la squadra azzurra? Lì si fa squadra, appunto società. Si chiudono le linee di passaggio agli avversari e si riparte, e in una zona del campo che diventa come un fazzoletto si gioca vicini, aiutandosi reciprocamente tra compagni.

Compagni? Che vorrà dire oggi questa parola in una realtà priva di società? I diritti civili vanno benissimo, anzi ne servono altri, ma toccano gli individui. Se non tocchiamo con mano il campo di quelli sociali, quando ci troviamo davanti a fenomeni sociali, fossero anche i più mostruosi, non sappiamo che fare.

E parliamo giustamente di barbarie, senza meditare sul fatto che quei barbari forse siamo noi stessi. Che senza il peso regolatore di un soggetto vivente – un tempo fu la classe operaia industriale – il nostro mondo si spezza.

Non lo abbiamo visto forse anche col Covid? Protestavano tutti, in tutte le direzioni e tutti senza una bussola. Quando non c’è soggetto non c’è punto di vista, e senza punto di vista non interpreti né trasformi qualcosa. E ti illudi se questo punto di vista lo cerchi nella scorciatoia di una sfida all’ok corral parlamentare, fosse anche tra due giovani donne.

E, temo, neppure lo intravedi a un congresso sindacale. Fanno parata ma poi se i Joker si materializzano in piazza non sai che pesci prendere, perché ti manca una lettura della società contemporanea e delle sue pulsioni.

E con essa una lettura critica del concreto capitalismo che oggi pervade il globo.