Dalla foto in testata dell’articolo – che abbiamo rinvenuto su una pagina Facebook, ma di cui ignoriamo l’autore che ringraziamo comunque – abbiamo individuato il sito urbano del ponte che i Napoletani dai capelli bianchi chiamano ancora oggi il Ponte di Casanova. Anzi ‘o pont’ ‘e Casanova, per dirla in lingua madre.
Chiariamo però subito al lettore che non c’entra affatto Giacomo Casanova, l’indefesso amatore veneziano, passato alla storia per le sue avventure galanti – insomma un playboy ante litteram di caratura internazionale – poeta, diplomatico e alchimista in odore di esoterismo, vissuto nel secolo dei Lumi. Giacomo Casanova più volte venne a Napoli, allora Capitale di mezza Italia, intorno alla metà del Settecento. E qui a Napoli ne combinò di tutti i colori, rischiando anche la vita. Lasciamo però Casanova, le sue truffe e le sue deviazioni.
E torniamo quindi a raccontare e descrivere il patrimonio fluviale e di acque dolci che caratterizzava Napoli, città di mare per eccellenza, cui abbiamo dedicato già qualche articolo su questo stesso giornale. Il lettore si domanderà comunque a questo punto: perché quel toponimo “Ponte di casanova”, se il vero Casanova non ci azzecca proprio niente? La risposta è semplice: il toponimo nacque, dopo la costruzione del ponte, a indicare un agglomerato di case “nuove”, sorte in quel posto abbastanza inospitale, periferico e discosto dalla cinta daziaria della città.
Il sito era inoltre attraversato periodicamente da “lavaroni”. Con questo termine napoletano, di origine osca, diffuso in tutto il Meridione, si identificano quelle vere e proprie lave di fango e sabbia causate dalle piogge intense. E appunto lavaroni copiosi scendevano dalle alture fuori città e attraversavano quella zona, alla quale fu dato poi il nome di Arenaccia, che deriva chiaramente da “arena” cioè terreno sabbioso, in lingua madre ‘a rena.
L’Arenaccia era in pratica una vasta “cupa”, sostanzialmente un canalone, che accoglieva le “lave” piovane provenienti da Capodimonte, Capodichino, da Poggioreale e, a un certo punto, anche le acque del Sebéto, che scendeva fin verso il mare della Marinella, impaludandosi poco lontano dal Ponte della Maddalena, che sovrapassava il fiume Rubeolo, che arrivava dalle propaggini vesuviane.
Il Ponte, in epoca successiva detto popolarmente “di casanova”, lo aveva voluto il re francese Gioacchino Murat, per poter raggiungere, da via Foria, il campo di Marte di Capodichino – proprio dove oggi c’è l’Aeroporto – sito extraurbano chiamato così perché vi si effettuavano manovre militari. Però Murat durò troppo poco, travolto dal tracollo di suo cognato Napoleone Bonaparte e la costruzione del ponte, cominciata nel 1812, soltanto molto dopo la morte di Murat – avvenuta nel 1815 – fu ripresa e completata. A inaugurare il Ponte di casanova fu infatti Ferdinando II di Borbone nel 1840.
Esso portava all’area orientale di Napoli, verso la zona fuori città detta appunto della Doganella e il sito di Poggioreale. Si arrivava quindi nella zona cimiteriale, una volta extraurbana. Proprio in quella area, fin dall’epoca aragonese, si tenevano tornei e giostre sulla sabbia, che spesso si impaludava per l’abbondanza delle acque piovane, che tendevano a sommergerla. Questa zona è storicamente nota come ’o Lutrecco, sebbene il toponimo stia andando in disuso. Il termine “Lutrecco” richiama infatti la funzione cimiteriale. Vediamo perché.
La denominazione fu data a quell’area fin dal Millecinquecento, quando il Re Francesco I di Francia mandò in Italia un esercito al comando di un condottiero crudele e spietato. Fu il maresciallo di Francia, Visconte di Lautrec, generale Odet de Foix, ad assediare Napoli per conquistarla, dopo avere attraversato il territorio del Regno, devastando numerose città in tutto il Meridione. Napoli fu stretta in una morsa. La capitale era stata assediata da mare e da terra, per averne la resa. Tutta la zona Orientale della città era occupata dalle truppe francesi dal colle di Poggioreale al mare.
Ma gli accampamenti francesi erano disposti al margine della zona paludosa, ai piedi di Poggioreale, che ospitava anche vasche di macerazione della canapa, dall’odore penetrante e nauseabondo. Miasmi ed esalazioni fecero dunque scoppiare una epidemia malarica che falcidiò le truppe francesi e portò a morte lo stesso condottiero Lautrec costringendo, contro ogni previsione, i Francesi a mollare la presa sotto il contrattacco guidato dall’esercito vicereale spagnolo.
La strada che dalla Piazza S. Maria del Pianto, accanto al Cimitero, scende a Via Poggioreale è denominata nella toponomastica civica Cupa Lautrec. Chi si troverà a leggere quel nome impresso sulla targa stradale, penserà certamente al grande pittore impressionista francese Toulouse Lautrec. E sbaglierà di poco, perché il pittore era un discendente del crudele Visconte.
Ma il sito cimiteriale è ancora, e chissà per quanto ancora sarà, per i Napoletani semplicemente: ‘o Lutrècco. Ut sic.