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La Fiera dei Balocchi

by Annamaria Barbato Ricci
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Più che mai nell’arco delle Festività fra Natale e la Befana vi è una grande effervescenza su un tema costante della storia dell’umanità: il giocattolo. Sono stati ritrovati balocchi dei tempi preistorici, perché i cuccioli d’uomo già da allora utilizzavano il gioco per affacciarsi alla vita da adulti, ai tempi ben più breve dell’attuale.

Appare, quindi, un vero magnete per tutte le età la “Fiera dei Balocchi”, la mostra del giocattolo antico, a ingresso gratuito, inaugurata lo scorso 7 dicembre a Napoli, nelle sale, chiostri e atri dell’Archivio di Stato, diretto da Candida Carrino, che rimarrà aperta fino al 30 gennaio.

La Mostra nasce da una fortunata convergenza: il collezionismo “matto e disperatissimo” di un avvocato, funzionario di Banca Intesa, Vincenzo Capuano, che in oltre trent’anni ha raccolto giocattoli in ogni dove, mercatini, aste, privati, commercio online, fino a raggiungere il numero monstre di 5mila, consistenti in oltre 8mila pezzi – da qualche anno insegna anche “Storia del Giocattolo” all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli -; la volontà della direttrice Carrino di allargare l’orizzonte e la fruibilità da parte del grande pubblico dell’Archivio che ha locali affrescati e sale straordinarie, insediato com’è dai primi dell’800 nell’antico convento benedettino dei Santi Severino e Sossio, con entrata principale in piazzetta Grande Archivio 5.

Una sede che ha già un proprio fascino autonomo, con i suoi quattro chiostri, fra cui quello più famoso è detto del Platano, per l’albero che lo adorna e che la leggenda vuole piantato da San Benedetto. Vi si conserva anche un codice unico al mondo, detto di Santa Marta, prendendo il nome da un altro antico convento soppresso in cui era custodito.

Perché unico? Diversamente da tutti i codici conosciuti, questo non è a tema religioso, ma le sue pagine racchiudono, miniati in inchiostri aurei, argentei e colorati gli stemmi delle più illustri famiglie della Napoli quattrocentesca.

A tali ‘tesori’ – e ce ne sono altri ancora, su cui ci soffermeremo in qualche altra occasione successiva – in questi quasi due mesi vanno ad aggiungersi i capolavori della giocattoleria nell’arco di oltre tre secoli, raccolti da Capuano e allestiti in maniera suggestiva dall’estro scenografico di Donatella Dentice di Accadia.

Il percorso espositivo conta mille giocattoli per tutti i gusti. Otto le aree tematiche dell’esposizione: oltre alle bambole, che ne costituiscono il nucleo più numeroso, gli automi, i giochi da tavolo, i teatrini, i pupazzi e i personaggi, i giocattoli in legno, i giocattoli di latta e i giocattoli di guerra.

Partiamo, dunque, dalle bambole, che rappresentano un vero viaggio nel tempo, a partire dai primi del ‘700.

A quell’epoca risalgono le cosiddette “Pandore”, che le ricche e nobili bambine amavano in particolar modo: può annoverarsi in questa gamma la Bambola William & Mary, del 1740, bambola manichino a otto snodi negli arti e testa, capelli veri e un cappello di paglia; una ottocentesca ha un lussuoso corredo di abiti e accessori, persino il pettine in avorio.

Stupefacente è, poi, la portantina settecentesca, tappezzata di seta, dove siedono nove bambole che riproducono personaggi della corte borbonica, proveniente dalla collezione della principessa Maria José Cattaneo della Volta di Sannicandro.

Vi è una bambola che riproduce la baby diva Shirley Temple e un’altra, in panno Lenci, che rappresenta Rodolfo Valentino abbigliato da “Figlio dello Sceicco”. Non poteva mancare Barbie (battezzata dalla sua ‘inventrice’ col nome di Barbara Millicent Roberts), ma non una delle innumerevoli versioni che si sono susseguite in oltre sessant’anni: no, proprio lei, la Number One, che esordì in costume zebrato nel 1959 e che, dal 1961, replicò un imprinting prettamente italiano: “Tengo famiglia”, col fidanzato Ken, la sorellina Skipper e tutta una pletora di parenti e amici vari.

Lasciamo le bambole e approdiamo alle altre declinazioni del mondo del gioco: innumerevoli Pinocchio di legno occhieggiano dalle vetrine o dall’esposizione; automi sbalorditivi nelle loro movenze perfette testimoniano il grado di innovatività anche in epoche remote; giochi da tavolo predecessori dei moderni videogiochi, ne anticipano le regole; marionette storiche, come i sette nani di Podrecca, famosissimo artista del teatrino. E poi, macchinine, trenini, aeroplanini di ogni genere e qualità.

Inquietanti, poi, i giocattoli “di regime”, fra gli anni ’30 e ’40, con i bambolotti Balilla, strumenti di propaganda nelle fasce più giovani della popolazione dell’epoca – propaganda a gogò – e un’auto scoperta di latta, dove, a bordo, si riconosce nitidamente Adolf Hitler, accompagnato da alcuni gerarchi, in cui uno ha il braccio teso nel saluto nazista.

Noi boomers, però, ci consoliamo con un’altra auto di latta, di produzione spagnola, risalente al 1964, una spider che ospita i Fab Four, allora idoli della gioventù. Chissà che a qualcuno non venga l’idea di costruirne una versione attualizzata, con seduti dentro i Maneskin!