La tragedia di Casamicciola ripropone uno scenario di distruzioni e di morte già visto mille volte, che si ripeterà puntualmente nei prossimi mesi con l’avanzare della stagione invernale – frane, valanghe, alluvioni, smottamenti – aggiungendosi ai fenomeni senza tempo come i terremoti e le eruzioni vulcaniche.
Le conseguenze sono devastanti per il patrimonio costruito e drammatiche per le vittime che si contano.
Di fronte a questi eventi assistiamo ogni volta allo straordinario impegno di chi è preposto ai soccorsi – Vigli del Fuoco, Protezione Civile, Militari, Volontari – e allo stesso tempo alla assoluta incapacità degli organi di governo e di gestione del territorio a tutti I livelli – Stato, Regioni, Comuni – di approntare le misure necessarie per evitare queste catastrofi che non hanno nulla di imprevedibile perché – lo dico in modo categorico – “le catastrofi naturali non esistono”.
L’affermazione può apparire esagerata, ma se si puntualizza il concetto di “rischio” e si indaga su cosa è avvenuto nel nostro Paese almeno negli ultimi sessant’anni, si comprende che non è affatto così.
Nel caso dei fenomeni naturali (terremoti, alluvioni, frane, valanghe, eruzioni vulcaniche e via dicendo) parlare di rischio significa, anzitutto, parlare della probabilità che si verifichi un evento dovuto a fenomeni che accadono in natura: si chiama “pericolosità“, vale a dire la probabilità che quell’evento naturale si verifichi in un determinato territorio.
Poi dobbiamo considerare che quando questo evento naturale si verifica il territorio può subire danni più o meno gravi a seconda della sua “vulnerabilità”, vale a dire della sua esposizione rispetto a quell’evento.
Dal prodotto di questi due fattori discende il concetto di rischio come viene definito dagli scienziati: “rischio = pericolosità x vulnerabilità”.
Ciò vuole dire che il rischio che un territorio corre di subire danni è direttamente proporzionale sia alla probabilità che si verifichi un evento naturale (la “pericolosità”), sia alla sua esposizione all’evento (la “vulnerabilità”).
Ora è evidente che sulla pericolosità non possiamo intervenire (o possiamo farlo in modo molto limitato) perché dipende da fatti che avvengono in natura, per lo più di portata e/o intensità non controllabili. Ma della vulnerabilità è direttamente e unicamente responsabile il comportamento umano. Allora quello che ci dobbiamo chiedere è: nelle nostre città e nei nostri territori il rischio che vengano apportati danni alle persone e alle cose è dovuto al fatto che la natura è matrigna o al fatto che l’uomo è irresponsabile?
Per rispondere facciamo qualche esempio traendolo da quanto è accaduto intorno a noi anche solo negli anni più recenti.
Nel 1998 nell’area del comprensorio di Sarno (SA), una frana di vaste dimensioni distrugge diversi abitati e causa 161 vittime. L’evento è stato indubbiamante di portata eccezionale (250 mm di pioggia in 72 ore) ma basta guardare l’immagine aerea di Sarno dopo l’alluvione per capire che l’abitato stava dove non doveva stare, ovvero in un posto estremamente vulnerabile.
Nel 2000 a Soverato (CZ) tre giorni di pioggia eccezionale causano l’esondazione del torrente Beltrame che travolge un campeggio causando 13 vittime. Anche in questo caso il fattore umano è intervenuto consentendo l’ubicazione persone e cose in una zona ad alta vulnerabilità.
Nel 2009 nella zona di Giampileri (ME) un violento nubifragio porta enormi distruzioni negli abitati e causa 37 vittime. Tutti gli abitati colpiti erano ubicati in zone dichiarate ad alto rischio idrogeologico.
Nel 2011 a Genova un ciclone mediterraneo fa cadere 500 mm di pioggia in poche ore causando l’esondazione dei torrenti Fereggiano e Bisagno. Si contano 6 vittime ed enormi distruzioni. L’evento naturale è di portata eccezionale, ma la causa principale è dovuta al fatto che quei torrenti erano stati “tombati”, una pratica molto diffusa ma rivelatasi distruttiva perchè interrompe lo scorrimento naturale delle acque costringendole entro stretti cunicoli che, peraltro, risultano quasi sempre ostruiti perché privi di manutenzione.
Questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi che potremmo elencare a conforto del fatto che nella stragrande parte dei casi le catastrofi sono causate dal fattore umano che possiamo ricondurre a tre tipologie:
- La mancanza di una azione sistematica di messa in sicurezza del territorio dell’intero Paese che è “pericoloso” per diversi fattori, principalmente sismici, idrogeologici e vulcanici. Un’azione che viene evocate solo in occasione delle ricorrenti catastrofi e che va addebitata in primo luogo alla latitanza dei Governi centrali.
- La gestione della edificazione sul territorio tramite una pratica urbanistica asservita agli interessi privati della proprietà fondiaria e della speculazione immobiliare e del tutto immemore della sua appartenenza pubblica e della sua natura etica. Una responsabilità che fa capo in prevalenza ai comportamenti legislative delle Regioni e agli atti amministrativi dei Comuni oltre, ovviamente, all’aggressività degli speculatori.
- La pratica dei condoni edilizi, che ha consentito il formarsi di un immenso patrimonio edilizio privo dei requisiti in ordine alla staticità e nella sua stragrande parte ubicato là dove non si sarebbe dovuto mai costruire. L’assoluzione di un reato previo pagamento in denaro è un’aberrazione che fa capo a molti Governi che si sono succeduti nel tempo; l’accettazione o l’assuefazione a quella pratica è un comportamento irresponsabile largamente diffuso tra i Comuni.
Le sconvolgenti immagini di Casamicciola dei giorni scorsi sono una dimostrazione esemplare, nella sua drammaticità, delle catastrofi che può causare il fattore umano quando esibisce la sua parte peggiore: la speculazione privata, da un lato; la incompetenza-negligenza-latitanza delle istituzioni pubbliche, dall’altro.