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Sandro Mazzola

by Vito Nocera
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E’ come un campanello che, sia pure ancora distante, un po’ suona anche per noi. Sandro Mazzola, leggiamo, oggi (8.11.22, NdR) compie 80 anni. Sento stamane due sue battute ad un TG. Candido, fragile, che parla della sua più grande felicità sportiva, la Coppa Campioni.

Così erano i campioni della nostra fanciullezza. In fondo furono loro a ispirare ai grandi maestri del giornalismo anche sportivo – gli Arpino, i Brera, i Caminiti e poi, più tardi, il mio coetaneo Darwin Pastorin – a guardare il calcio con sguardo di poesia.

Sandrino o Mazzolino, come lo chiamava Ciotti, tra i tanti è stato per tutti come un figlio. Tifosi e ambiente, stampa e addetti ai lavori. Era – insieme al fratello Ferruccio – cio’ che rimaneva del grande Valentino. L’eroe granata di Superga. Il capitano di tutti. Forse il più grande ed epico calciatore italiano di sempre. Ancora sogno, ricordò Sandro una volta, di calciare con lui sul prato del vecchio Filadelfia. Quella dei Mazzola è stata una favola dolce amara del calcio italiano. Con Sandro ottantenne è come si chiudesse un cerchio.

Era veloce e capace di dribblare, Sandrino, giocatore immenso perfino un po’ sottovalutato. Veloce in tempi in cui si giocava a velocità ridotta. Non dava l’immagine dell’artista, la poesia di chi giocava all’ala. Lì, sulle fasce, i sogni volavano più alti. Alti i sogni e i voli e bassi i calzettoni, Corso, Meroni, George Best. Discoli amati, estrosi fuori e dentro il campo.

Mazzola no, lui era semplice e lineare, quasi professionale. Filava profondo quasi sempre nel corridoio centrale, il suo modo di dribblare l’avversario, più avversari di slancio, era rapido ed essenziale. E quel suo fisico esile e nervoso celava una grande capacità di tiro, chirurgico, piazzato come si dice adesso, ma anche discretamente potente.

Visse il dualismo con Rivera con leggerezza e senza protagonismi, e a differenza del milanista non fu mai un divo. Come fosse rimasto per sempre, fanciullo, all’ombra dell’inarrivabile papà Valentino.

Ci parla di un calcio perduto la sua faccia. I suoi occhietti vispi, oggi anche un po’ stanchi, ci restituiscono un po’ di noi stessi. La speranza che, tra affari e business, finanza e interessi vari, un piede buono scoverà sempre un varco per piazzare un dribbling.