Il governo tedesco ha espresso, dopo una controversa discussione interna, il proprio consenso alla operazione che consentirà al colosso statale cinese specializzato nel trasporto marittimo – Cosco – di acquisire quote di uno dei quattro terminal del porto di Amburgo, il Tollerort, dalla società tedesca HHLA (Hamburger Hafen und Logistik AG). In pratica, l’esecutivo federale guidato da Olaf Scholz ha dato il via libera a una partecipazione limitata al 24,9%, contro il 35% precedentemente programmato.
Il tema dell’ingresso di una società cinese nella proprietà del maggior porto tedesco, secondo in Europa dopo Rotterdam, aveva creato polemiche molto accese in Germania ma anche negli ambienti comunitari, che hanno espresso un parere negativo senza conseguenze per il perfezionamento dell’operazione.
Le critiche, intanto, non si placano. «Chiaramente non è stato imparato niente dalla dipendenza dalla Russia», ha detto Norbert Roettgen, figura di spicco della politica estera dell’opposizione Cdu. Proteste dello stesso tenore sono arrivate dai Verdi e dai liberali Fdp, entrambi partiti al governo con la Spd di Scholz. Molti hanno forse in mente il documento interno prodotto qualche settimana fa dagli analisti del ministero tedesco dell’Economia.
Nonostante i contrasti interni alla stessa maggioranza del governo tedesco, alla fine la decisione del presidente del consiglio è andata nella direzione di approvare l’ingresso di Cosco nel capitale del gestore del quarto terminal container dello scalo di Amburgo. Il cancelliere ha però dovuto individuare una soluzione di compromesso: oltre a limitare la quota d’ingresso, l’accordo prevede che alla Cosco venga negata la possibilità “di concedersi contrattualmente diritti di veto sulle decisioni strategiche in materia di affari o di personale”.
Inoltre, alla società cinese viene vietato di “nominare membri del management”. Tra gli altri, finanche il ministro dell’Economia Robert Habeck aveva già messo in guardia da nuove “dipendenze” della Germania dopo quella energetica dalla Russia che oggi si sta drasticamente riducendo.
Ma allora, considerate le diffidenze che si sono manifestate in una parte significativa dell’opinione pubblica e delle istituzioni tedesche, per quale motivo l’accordo ha ottenuto il via libera? Il ragionamento che si fa ad Amburgo (e a Berlino) è semplice, oltreché in linea con i tentativi cinesi di dividere l’Unione europea: se Cosco non investe, allora vincono Rotterdam e Anversa, scali olandesi su cui Cosco ha già investito in passato. Perché loro sì e noi no? chiede il governo tedesco.
Ma i tempi sono diversi, gli scenari globali sono intanto mutati profondamente. Per il governo cinese, l’ingresso di Cosco, colosso finanziato dallo Stato, ad Amburgo è cruciale. Basti pensare a quanto ha affermato Shi Mingde, ex ambasciatore cinese in Germania, che a settembre ha trascorso diversi giorni a Berlino incontrando diversi funzionari governativi e portando loro un semplice messaggio: “Se continuate su questa strada con la Cina, ve ne pentirete”. Un veto all’accordo per l’ingresso di Cosco nel porto di Amburgo avrebbe danneggiato gravemente l’immagine della Germania come piazza economica e le relazioni con la Cina, ha spiegato.
A far accendere i riflettori italiani sull’operazione sino-tedesca è stato il fatto che la compagnia di logistica Hamburger Hafen und Logistik AG (Hhla), partecipata dall’ente amministrativo federale della città tedesca di Amburgo, ha concluso all’inizio dell’anno scorso un’operazione per l’acquisizione del 50,01% della società triestina Piattaforma logistica Trieste.
In un report pubblicato allora dall’Istituto affari internazionali, si evidenziava come l’accordo trentennale segni “una svolta del Porto di Trieste verso i partner europei e la probabile fine del progetto di investimento cinese previsto nel memorandum d’intesa con CCCC di novembre 2019” firmato a Shanghai, alla presenza del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (governo giallorosso), sulla scia della firmata italiana sulla Via della Seta avvenuta pochi mesi prima, a marzo (governo gialloverde guidato da Giuseppe Conte).
Inoltre, “la piattaforma in cui ha investito Hhla è la stessa che ha attirato l’interesse di Cmg (China Merchants Group, un’altra azienda di Stato cinese ma con sede a Hong Kong, ndr) nel 2018; alla fine ha ricevuto gli investimenti necessari non dalla Cina ma dalla Germania”. Nello stesso documento emergeva come mentre per il porto Genova l’interesse per gli investimenti cinesi è (era?) legato alla “costruzione di una nuova diga”, per quello di Trieste è (era?) connesso ai collegamenti ferroviari. Proprio la ragione per cui Hhla ha deciso di puntare sullo scalo adriatico.
Questa acquisizione non sembra presentare ripercussioni dirette su Trieste, ma guardando all’operazione in maniera più generale emergono alcuni interrogativi che riguardano la concorrenza. Infatti, Cosco, che riceve fondi statali dalla Cina, non compete allo stesso livello di altre imprese nel settore. Inoltre, la sua posizione dominante sul mercato è un potenziale strumento geopolitico per Pechino.
Le società cinesi controllano già circa il 10% del traffico marittimo attraverso i porti europei (con partecipazioni di maggioranza nel porto greco del Pireo e in quelli spagnoli di Valencia e Bilbao, oltre a quote negli scali di Rotterdam nei Paesi Bassi e Vado in Italia).
Insomma, è in corso una poderosa riorganizzazione proprietaria nella logistica portuale e marittima nell’ambito comunitario, che consiste nella presenza strategica cinese nel cuore dell’Europa, bilanciata solo dalle grandi multinazionali private del settore marittimo. Si comincia a sentire rumor di sciabole, si potrebbe sostenere, tra i giganti dell’oligopolio marittimo, di proprietà pubblica nel caso cinese e di proprietà privata, per meglio dire familiare, nel caso europeo.
Il grande assente è l’interesse pubblico europeo, che aveva già subito un poderoso smacco con la cessione del porto del Pireo a Cosco, nel 2016, per effetto della crisi finanziaria dello Stato ellenico, alla quale era stata data risposta anche invitando le autorità statali a cedere le grandi infrastrutture al mercato.