Ha ragione Guido Mondino a ricordarci il diverso senso civico radicato nei cittadini dei paesi anglosassoni rispetto a quello che alligna in Italia. In Italia, tanto per dirne una, sarebbe stata assolutamente impensabile una protesta popolare contro un governo che avesse tagliato le tasse com’è accaduto un paio di settimane fa nel Regno Unito. Tutt’al più in Italia, a fronte delle disastrose conseguenze sul bilancio dello stato, sarebbe dovuto intervenire il Capo dello Stato per togliere il timone della nazione dalle mani dei politici e affidarlo pro-tempore ad un tecnico. La politica italiana, tutta la politica italiana, a prescindere dai colori, non ha la forza per prendere misure impopolari. Se un governo, per lisciare il pelo al popolo, sbaglia una misura, dopo di esso nessuno ha il coraggio di togliere la cuccagna dalle mani dei beneficiari.
È sulla base di questa convinzione che suggerivo alla premier italiana, allora in pectore, di evitare misure draconiane, sia in senso liberista che di ‘destra sociale’, e di procedere con cautela. L’Italia, che da decenni gode di un benessere ‘drogato’, fondato sul debito pubblico, va ‘disintossicata’ certo, ma se Giorgia Meloni si azzardasse a provare a toglierle la droga sic et simpliciter, verrebbe travolta dalla rivolta di quello stesso popolo che l’ha eletta. Il senso del ricorso al metadone che suggerivo era questo.
Ma torniamo alle considerazioni di Mondino, che ringrazio davvero per l’attenzione che ha portato al mio pezzo e per l’intervento in sua chiosa.
Mondino – che, va detto ai lettori, da decenni vive e lavora in Canada – constata quotidianamente il diverso senso dello stato nei cittadini anglosassoni e negli italiani; i primi che fin dall’infanzia vengono educati nel segno del “together we stand, divided we fall”, i secondi imbevuti di individualismo antistatuale. Mondino fa risalire questa difformità comportamentale a due cause su tutte: l’aver abbandonato l’insegnamento dell’educazione civica nel nostro sistema scolastico e l’egemonia della cultura cattolica in Italia, diversamente dai paesi anglosassoni ad egemonia protestante e con forti componenti calviniste.
Mi trovo in sintonia con l’analisi di Mondino, mi permetterei solo di integrarla sotto il profilo storiografico. Non è solo l’egemonia della Chiesa di Roma l’origine dell’individualismo degli Italiani. Anche quella c’entra, certo, ma non solo essa e non per il merito teologico. Nella lettura cattolico-romana dei Vangeli non c’è l’incentivo all’individualismo. Magari al permissivismo sì, lo attesta la sua storia, segnata da secoli di lassimo morale e di corruzione, fino alla vendita delle indulgenze. Tra noi cattolici si pecca e poi si ottiene l’indulgenza in confessione, e viviamo felici e contenti; contrariamente al senso di colpa che perseguita il calvinista a lungo. Ma nessuna accondiscendenza verso spinte antisociali viene dalla dottrina cattolica.
L’origine della diffidenza degli Italiani verso il proprio stato risale in realtà alle modalità di formazione della nostra nazione col Risorgimento, una rivoluzione ‘passiva’, com’è stato più volte ed autorevolmente evidenziato dai maggiori storici. Raggiungemmo le nostre unità ed indipendenza nazionali a seguito di tre ‘guerre di indipendenza’ – quattro se ci includiamo, come propongono in molti, anche la Prima Guerra Mondiale – condotte dall’esercito dello stato sabaudo e concluse con vari referendum, che oggi definiremmo farlocchi..
Con la soppressione del Regno delle Due Sicilie nel 1860 nacque la questione meridionale, che non è banalizzabile col mero riferimento al brigantaggio. Milioni di cittadini del neo regno nazionale furono espropriati delle proprie risorse, tenuti per decenni sotto giogo, guardati con una diffidenza ai confini col razzismo. Si vedano al riguardo le teorie di Cesare Lombroso sulla ‘naturale’ inclinazione alla delinquenza dei meridionali. Quella ferita, pur con tanti pur lodevoli, ma discontinui impegni dei governi italiani succedutisi in un secolo e mezzo, non è stata mai sanata. Non è perciò per niente casuale se, quando serpeggia un sia pur lieve venticello di jacquerie in Italia, i primi e più numerosi a lasciarvisi trascinare sono i meridionali. Qui nel Sud dello Stato italiano ci si fida ben poco; da esso ci si sente più spesso vessati che protetti e, senza questa fiducia, si ricorre spesso e volentieri alla famiglia o al clan come proprio unico riferimento. Evadere le tasse a favore della propria famiglia non è vissuto come un ‘peccato’; e non solo da chi evade, anche la deprecazione sociale verso gli evasori è flebile.
Nel 1870 – Breccia di Porta Pia – fu poi annesso al Regno d’Italia lo Stato Pontificio. La Santa Sede denunciò l’illegalità dell’irruzione militare delle truppe del Regno, scomunicò il Re Vittorio Emanuele II e la sua discendenza e promulgò il Non expedit: nessun cattolico avrebbe dovuto collaborare con il Regno e partecipare alla sua vita politica, se lo avesse fatto sarebbe stato a sua volta scomunicato. Per un cattolico italiano peccare contro Cesare, ad esempio evadendo le tasse, sarebbe stato un reato secolare, per la Chiesa tutt’al più un peccato veniale. La ‘questione romana’, come si sa, fu sanata solo nel ‘29 con i Patti Lateranensi, pur se già dal ‘13, col Patto Gentiloni, aveva cominciato a stemperarsi. In questo senso, soprattutto in questo senso, la Chiesa cattolica ha avuto un peso rilevante nella formazione della diffidenza del popolo italiano verso lo stato. Aggiungiamoci che i cattolici hanno un proprio ‘sovrano’ nel Pontefice, mentre gli anglosassoni o non hanno alcun sovrano religioso o, nel caso degli anglicani, lo hanno nella figura del titolare della corona del Regno. Convengo dunque con Mondino sul ruolo del cattolicesimo nella storia del senso civico degli Italiani, una delle componenti che hanno contribuito all’antistatualismo.
Ancora, nel movimento nazionale italiano, fin dalle origini del Risorgimento, si confrontarono due anime, quella repubblicana e quella sabauda. La prima, nonostante il contributo di sangue e di passioni messo in campo ed il ruolo rilevante avuto anche nelle vicende belliche, ad esempio con le camicie rosse di Garibaldi, fu sconfitta dai monarchici e tenuta ai margini del Regno. Giuseppe Mazzini, tanto glorificato post mortem, fu addirittura condannato a morte in contumacia mentre era in esilio a Londra e, dopo l’annessione delle Due Sicilie, imprigionato a Gaeta, per essere infine graziato in punto di morte. Dopo l’Unità la componente mazziniana e repubblicana in parte si integrò progressivamente nello Stato, presentandosi alle elezioni ed esprimendo parlamentari, ministri e capi del governo, in parte si collocò in una posizione di antagonismo radicale, avvicinandosi al socialismo allora emergente.
Già il socialismo. Basta ricordare la strage di Bava Beccaris ed il successivo omicidio di Re Umberto I da parte di Gaetano Bresci per dire dei rapporti conflittuali tra il nuovo Regno e le classi lavoratrici rappresentate in gran parte proprio dal movimento anarco-socialista.
Infine comunismo e fascismo. Il primo, nacque nel ‘21 sull’onda della Rivoluzione Russa con l’obiettivo di sovvertire in toto l’ordinamento dello stato italiano per fondare una repubblica socialista dei consigli di fabbrica; il secondo fu fondato nel ‘19 da Benito Mussolini in funzione anti socialista ed anticomunista, eppure in prima istanza con notevoli pulsioni antimonarchiche ed anaracoidi. Nessuna delle due aggregazioni fu ideologicamente, socialmente e politicamente pienamente integrata con il Regno d’Italia. Voi direte, ma come, il fascismo non fu un pilastro della monarchia? Sì, finché a Mussolini fece comodo. Quando il Re lo sfiduciò, il Duce pensò bene di fondare una Repubblica a Salò.
Tutte queste componenti, familistiche, regionaliste, cattoliche, socialiste, comuniste, fasciste, di cui è impregnata la storia d’Italia, si sono sempre basate su una doppia morale, un senso etico, a volte molto alto, verso la propria parte – leggasi il proprio partito – ed un riconoscimento nello Stato subordinato a quello verso la propria parte.
Piacerà, non piacerà, ma questa è l’Italia di oggi. Per questo dicevo che il Paese non accetterà una pur ineludibile ‘cura di cavallo’ per risanare lo Stato, neanche in nome del bene dei propri nipoti. I nipoti? Per ora non votano…