Nel centenario della marcia su Roma, il 28 ottobre 2022, Vincenzo De Luca ha indetto una marcia pacifista su Piazza del Plebiscito, stanziando sino a 300mila euro di risorse finanziarie della Campania per trasportare i ragazzi delle scuole delle periferie napoletane.
Evidentemente il Presidente della Regione intende evitare ai giovani il disagio di utilizzare trasporti pubblici che altrimenti non funzionano. Chissà perché viene da pensare che sarebbe forse più nel perimetro istituzionale di De Luca l’esecuzione di una politica dei trasporti collettivi adeguata a dare risposte alla mobilità di ogni giorno. Ma evidentemente quel giorno assume un valore simbolico di rilievo tutto particolare.
Per riempire le piazze serve il cuore, ma anche l’organizzazione. Quando però il cuore della manifestazione diventa l’organizzazione, allora onestamente tutto comincia a somigliare maledettamente alle adunate organizzate da Vladimir Putin per mostrare al mondo il sostegno popolare alla operazione militare speciale. Anche in quel caso i pullman fioccavano per portare i ragazzi delle scuole in piazza. Era più una prova di forza che una prova di pace. Ma a volte, con l’ironia della storia, si determinano corti circuiti capaci di illuminare improvvisamente le intenzioni al di là di quello che si dichiara.
Sono esistiti tempi in cui il pacifismo era una forza reale nella vita politica nazionale ed europea. Non si organizzavano autobus pagati dalle istituzioni, vale a dire da tutti noi. Ci si organizzava per esserci, come capitava quando i movimenti erano espressione del popolo.
Piuttosto, l’obiettivo, in quegli anni ormai lontani, consisteva nell’esprimere preoccupazione verso la proliferazione delle armi nucleari. La guerra non c’era, nessuno aveva invaso nessuno, ed il pacifismo parlava ad entrambi i contendenti per bloccare una spirale di morte.
Si era all’epoca della installazione dei Pershing e dei Cruise americani sui territori dell’Unione, per rispondere alla militarizzazione nucleare della Unione Sovietica, prima degli accordi tra Reagan e Gorbaciov. Ora lo scenario è tutto diverso. Una nazione ha invaso un’altra nazione, ed è in corso una guerra terribile, che colpisce innanzitutto la popolazione civile ucraina.
La manifestazione di De Luca invoca il cessate il fuoco. Nessuno può essere ovviamente contrario sull’obiettivo. Ma un politico avrebbe il dovere di spiegare come si fa, soprattutto quando chiama la gente in piazza a manifestare. E invece, ad una domanda specifica durante la presentazione di questa iniziativa, la risposta del Presidente della Regione Campania è stata che “la manifestazione non vuole entrare nel merito di valutazioni politiche sul conflitto. Se entriamo troppo nel merito – ha aggiunto – rischiamo di creare problemi, perché qualcun altro potrebbe dire che nel Donbass sono stati violati gli accordi di Minsk, oppure dire che l’allargamento della Nato nei Paesi a confine della Russia è una violazione degli accordi non scritti dopo la caduta del Muro di Berlino”.
Dunque, per parafrasare uno sciagurato slogan degli anni Settanta del secolo passato, né con lo Stato né con le Brigate Rosse, questa è la sostanza del ragionamento politico. Sono tutti colpevoli: dunque, nessuno lo è. Non ci sbilanciamo, sono tutti uguali. Nel corso di un conflitto armato provocato da un invasore questa è una operazione davvero discutibile.
Adolf Hitler poteva avere dalla sua parte molte ragioni, dettate dalle terribili sanzioni che avevano distrutto economicamente la Germania dopo la Prima guerra mondiale: nessuna giustificazione però era possibile per l’invasione dell’Austria o dei Sudeti.
Si scenderà dunque a Napoli in piazza per la pace nella confusione più totale, con autobus a spese del contribuente. Marco De Marco ha correttamente osservato che se Lorenzo Fontana convocasse nelle prossime settimane una grande manifestazione pro-vita a spese della Camera dei Deputati, ci sarebbe poco da obiettare dopo l’illustre precedente orchestrato dal Presidente della Regione Campania.
Non c’è nulla da fare. Il conflitto di interessi resta una delle trappole micidiali nelle quali è precipitata la Repubblica. Il precipitoso ed inatteso pacifismo del Presidente De Luca, folgorato sulla via di Damasco, sembra piuttosto un poderoso diversivo rispetto al risultato estremamente deludente delle elezioni politiche del 25 settembre ed il preludio di un posizionamento verso il Congresso nazionale del Partito Democratico, nel quale intende evidentemente dislocare le sue truppe cammellate, per condizionarne gli esiti in una negoziazione con il probabile vincitore emiliano.
Quando la pace si riduce a monetina di scambio per altro, ci sono tutte le condizioni per pensare davvero che la guerra rischia di restare, come ha insegnato Carl von Clausewitz, la prosecuzione della politica con altri mezzi. Anche quando è camuffata da pacifismo.