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Venezia e Godard

by Piera De Prosperis
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Parliamo di cinema. Si è conclusa la 79^ mostra del cinema di Venezia. A vincere il Leone d’oro è stato il documentario All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, già premio Oscar per Citizenfour, unico documentario sui 23 titoli in concorso. Il film All the Beauty and the Bloodshed è dedicato alla fotografa e attivista Nan Goldin che combatté per ottenere il riconoscimento della responsabilità della famiglia Sackler per le morti di overdose da farmaco.

Goldin ha rivelato che si stava riprendendo dalla dipendenza da oppioidi, in particolare dal farmaco OxyContin, assunto come antidolorifico per una tendinite di cui soffriva. Dopo essersi disintossicata era venuta a conoscenza delle responsabilità della famiglia Sackler, proprietaria della società farmaceutica Purdue Pharma e produttrice di OxyContin, nell’epidemia di oppioidi che aveva colpito gli Stati Uniti dalla metà degli anni Novanta, causando migliaia di morti per overdose da farmaco. I Sackler avevano poi tentato di riciclare la propria immagine pubblica proponendosi come mecenati dell’arte, attraverso generose donazioni a musei come il Guggenheim e il Louvre e a diverse università come Yale.

Vince quindi una pellicola di denuncia delle nazionali del farmaco. Tematica non nuova, specie per il cinema americano, ma che forse ha un sottile e non troppo velato riferimento a quanto abbiamo vissuto sulla nostra pelle in questi due anni difficili. Per giunta un documentario, come se il bisogno di verità e di realismo per la giuria della Mostra fosse una necessità imprescindibile in un mondo di comunicazioni spesso fasulle o false. Una scelta coraggiosa, dunque, anche se ovviamente a fronte di una forte penalizzazione della fantasia nell’invenzione filmica che ne esce profondamente mortificata.

Niente a che vedere con Jean-Luc Godard, uno dei fondatori della corrente della Nouvelle Vague che tra gli anni ’50 e ’60, in Francia, cambiò il modo di intendere e di proporre la realtà. Uno dei registi che più hanno influenzato il cinema francese e non solo, scomparso ieri, riferimento di quel gruppo di giovani cineasti ribelli alle convenzioni che si proponeva di cercare un linguaggio filmico che facesse riflettere lo spettatore. Un cinema lento, volto a scrutare l’animo umano senza falsi moralismi. Un cinema che si pone contro i valori borghesi, che in qualche modo anticipa le proteste o prepara le proteste del maggio del ’68.

Vastissima la filmografia di Godard a partire da À bout de souffle (1960). Fino all’ultimo respiro, il ritratto di un giovane delinquente(Jean-Paul Belmondo), cinico e romantico insieme, girato in uno stile fresco e disinvolto, incurante delle regole grammaticali e degli standard tecnici cinematografici e che procede per divagazioni, trovate visive e gestuali, sentenze e citazioni pittoriche e letterarie, senza tuttavia dimenticare i miti e i modelli del cinema del passato… Al di là dei soggetti e delle ambientazioni, quasi sempre urbane e contemporanee, erano soprattutto il linguaggio e le forme narrative sempre più libere (scansioni o interruzioni del racconto con scritte e inserti eterogenei, alternanza di inquadrature molto costruite e di scene casuali e improvvisate, riferimenti all’attualità, alla pubblicità, al mondo del cinema e dell’immagine) a farne degli esemplari film-saggio sul disorientamento e la confusione di valori della condizione moderna, sempre sensibili però alle emozioni dei loro personaggi. (A. Farassino)

Insomma un regista innovativo, figlio del ‘900 che perde ancora un protagonista. Ormai il secolo sta veramente finendo. Ci restano i suoi film, che hanno fatto la storia. Chissà se si potrà dire lo stesso del film vincitore del Leone d’oro di quest’anno.