Qualche settimana fa è stata presentata la “svolta verde” del Parco Archeologico di Pompei, cioè la indizione di una gara internazionale per “…individuare un partner privato di eccellenza per collaborare nella gestione dei vigneti archeologici, nonché nell’intero ciclo, dall’impianto alla coltivazione biologica, dalla vinificazione all’affinamento e alla commercializzazione”. In soldoni, allo storico marchio Mastroberardino, azienda principe del vino avellinese, che ha portato il vino di Pompei fino alle aste americane di New York a suon di centinaia di dollari per una bottiglia, potrebbe subentrare un nuovo soggetto.
Il vincitore dovrà comunque essere disposto a realizzare, in partenariato pubblico-privato con il Parco “una nuova gestione del patrimonio verde e la realizzazione dell’Azienda Agricola Pompei.” L’avviso internazionale punta, infatti, anche alla co-gestione dei terreni da destinare a vigneto e al ciclo produttivo del vino. La data di scadenza è prevista per il 26 agosto.
L’iniziativa ci sembra innovativa. Il Comunicato del Parco è stato distribuito alla Stampa il 19 Luglio presso la Casa della Nave Europa. Essa è chiamata così per la presenza di un grande graffito rappresentante una nave romana da carico, affiancata da imbarcazioni di piccolo cabotaggio. La casa era la sontuosa dimora di un antico pompeiano produttore di vino, olio ed altri prodotti agricoli della campagna della Pompei antica.
Nell’occasione della presentazione della Gara fu inoltre precisato che: “…Ai vigneti già presenti nelle Regiones Prima e Seconda di Pompei e nel sito di Villa Regina a Boscoreale, estesi per quasi due ettari, si aggiungeranno altri cinque ettari di nuovi impianti di assoluta eccellenza e gestiti secondo i dettami esclusivi della lotta biologica ‘artigianale/naturale’ e nel rispetto ed interpretazione aggiornata delle tecniche e modalità colturali del mondo antico”.
Ci par di capire però che il “pezzo forte” della produzione vinicola pompeiana affidata alla “Azienda Agricola Pompei” sarà costituito dai terreni del parco del Polverificio Borbonico di Scafati, edificio monumentale di scuola vanvitelliana. Anzi, i cinque ettari che saranno vitati in esito alla gara rappresentano oltre la metà dei terreni di pertinenza dello stesso Polverificio, i quali coprono in tutto circa nove ettari di campagna scafatese alla periferia della Città (nuova) di Pompei. I terreni del Polverificio Borbonico sono stati per molti decenni, prima del loro abbandono, un campo sperimentale della produzione del tabacco. Tant’è che lo stesso Polverificio è ancora oggi noto in zona come Istituto Sperimentale dei tabacchi, anche se oggi ospita soltanto lunghe file di grandi platani secolari e un viale centrale, che è un vero e proprio “monumento verde”. Un marchio paesaggistico e culturale degli insediamenti monumentali borbonici del Meridione che rimanda ai grandi viali ombrosi di certe campagne francesi.
Entrando nel merito rileviamo che il Tabacco è una pianta americana sub tropicale, che preferisce un clima mite e temperato. Esattamente, peraltro, come la Calle bianca e la Cannabis sativa, piante autoctone e spontanee delle rive del Fiume Sarno, note a chi le conosce. E non è un caso che la Cannabis – come il lettore ricorderà – fu coltivata nel Parco prima che la coltivazione illecita fosse scoperta nel sito dalle Forze dell’Ordine un paio di anni fa, molto probabilmente per una soffiata, che in gergo si definisce appunto “situata”. Anche la Cipolla precoce, detta Cipolla Bianca di Pompei, è diffusa nella bassa Valle del Sarno, cui appartiene il Sito del Polverificio. D’altra parte, il Polverificio fu voluto strategicamente in quel sito dal grande Re Ferdinando II di Borbone per la ricchezza d’acqua reperibile in zona. Infatti, il Canale Bottaro ne costeggiava il perimetro settentrionale, mentre il Sarno ancora oggi ne costeggia il fronte meridionale, costituendone il naturale lungofiume.
Abbiamo appena scritto di tre piante autoctone pompeiane e tipiche di “terreni freschi”, cioè terreni che mantengono un buon tasso di umidità anche durante eventuali periodi di siccità, perché sono caratterizzati da una elevata capacità di ritenzione idrica. L’areale meridionale della Città nuova di Pompei, in cui ricade pienamente il Polverificio Borbonico, è storicamente ricco di risorse idriche. A noi – da non esperti, disponibili quindi a essere smentiti – pare dunque di potere affermare che il microclima garantito dal parco del Polverificio, in riva al fiume Sarno che lo costeggia, non sembra davvero quello ideale per la coltivazione delle viti da vino.
A questo punto ci domandiamo però se è noto – a chi ha deciso la gara e a chi parteciperà ad essa – il fatto che il sito del Polverificio Borbonico era un tempo parte integrante della dulcis Pompeia palus vicina salinis herculeis, ricordata da Giunio Moderato Columella circa duemila anni fa. Cioè la laguna vasta, sia pure poco profonda, che ha diviso Pompei da Stabia dalla preistoria fino alla eruzione del 79 d.C., facendone due mondi diversi e lontani. Ma quella palude bonificata dall’eruzione pliniana sopravvive al di sotto dell’areale vasto della campagna in cui ricade il Polverificio, che ha radici umide, non espressamente dunque vocate alla viticoltura la quale, non a caso, nella zona è assente.
Cosa pensare a questo punto? Forse auspicare lunghi tralci di viti d’Asprinio aversano coltivati ad alberata, a tutt’altezza, fino ai circa venti metri che raggiugono le cime dei platani borbonici? Beh, non dipende da noi. Ma chi vivrà, vedrà.