Quello che sembrava impossibile, perlomeno incredibile, certamente intollerabile è accaduto. Il Senato della Repubblica, il ramo nobile del Parlamento, ha fatto cadere il Governo e lo ha fatto nel modo peggiore, mettendo in scena una rappresentazione indecorosa culminata con l’uscita dall’aula per non assumersi apertamente la responsabilità di non votare la fiducia chiesta da Draghi.
D’altronde è bastato ascoltare gli interventi di alcuni dei rappresentanti dei diversi gruppi politici, per capire che in quell’aula sedevano personaggi inqualificabili, che hanno pronunciato discorsi grondanti di falsità, di disonestà intellettuale, di deformazioni della realtà e, soprattutto, di una caparbia volontà di far prevalere gli interessi personali e di parte rispetto a quelli dei cittadini.
La stragrande parte dell’opinione pubblica italiana, in piena sintonia con quella mondiale (escludendo, ovviamente, le autocrazie fascistoidi modello Russia), aveva perfettamente capito che il mantenimento di Draghi alla guida del governo era la condizione migliore per il nostro Paese: per l’autorevolezza della persona, per la sua credibilità internazionale, per la concretezza dell’azione che stava praticando, per l’estraneità ad interessi di parte.
A dispetto di questa evidenza tre componenti politiche – il M5S, la Lega e Forza Italia – si sono adoperate convulsamente per allontanarlo dalla guida del Paese. Le motivazioni sono diverse ma tutte facenti parte, come si usa dire nel gergo giuridico, di un unico disegno criminoso.
Il M5S è un caso di scuola per studiosi di sindrome del suicidio.
Riuscire a passare nell’arco di quattro anni da un consenso elettorale del 32% nel 2018 ad uno stimato ad oggi intorno al 10% è di per sé un’impresa non facile. Averlo fatto stando consecutivamente in tre diverse compagini governative – con la Lega, con il Pd, nelle larghe intese – spiega molto anche se non tutto sulle ragioni del tracollo.
Il fatto è che durante quel pluriennale percorso all’interno del M5S sono emerse posizioni completamente divergenti tra loro: dagli apprendisti rivoluzionari alla Di Battista ai governisti (dalla scissione di Di Maio alla presa di posizione di D’Incà) il tutto continuamente terremotato dalle intrusioni dell’ondivaga figura del fondatore Grillo. Il colpo finale lo ha assestato Conte quando è passato dal fare il Presidente del Consiglio – ruolo nel quale aveva dimostrato alcune discrete e inaspettate qualità – a fare il capo politico, ruolo nella quale ha dimostrato una totale inadeguatezza evidenziata dal patetico tentativo di voler assumere, lui un moderato per eccellenza, la veste di capopolo. In più Conte si è fatto trascinare dal suo personale risentimento nei confronti di Draghi dal quale, non dimentichiamo, si era visto sottrarre la poltrona di Palazzo Chigi.
Di qui la dissennata, confusa, contraddittoria serie di liste di richieste accompagnate da penultimatum con le quali per settimane ha incalzato Draghi, continuando a parlare di valori e di principi del M5S di cui da tempo nessuno più comprende quali siano.
Tutto questo ha portato alla sciagurata scelta di far cadere il governo Draghi, con il che il M5S si è condannato ad ulteriori convulsioni interne e frane elettorali e Conte personalmente si è avviato sulla strada della irrilevanza politica.
L’altro protagonista in negativo di questa folle vicenda è la Lega dalla quale, peraltro, non c’era da aspettarsi diversamente.
E’ un partito che alle origini ha rappresentato il peggio di quanto aleggiava nel nord del Paese: rifiuto dell’identità italiana, volontà di separatismo, spregio per il mezzogiorno, razzismo, omofobia, difesa dell’evasione fiscale e via dicendo. Quando poi è passata nelle mani di Salvini, un personaggio inguardabile da tutti i punti di vista, per poter estendere la propria influenza al sud non ha potuto far altro che dare voce a tutto il ribellismo e il populismo che da quelle parti allignava in abbondanza, salvo poi dare dimostrazioni continue di malgoverno.
Quello che ci dobbiamo chiedere guardando alla spinta decisiva data ieri da Salvini per la caduta del governo, è che fine abbia fatto quella componente moderata e governista rappresentata da Giorgetti al centro e da molti Presidenti di Regioni al nord, che sembrava volesse portare la Lega su posizioni civili. Ieri ha prevalso la linea dell’inguardabile segretario e la Lega sembra avviata ad una robusta regressione.
Tuttavia dobbiamo considerare che malgrado la pulsione suicida di Conte e del M5S e la ripresa del comando della Lega da parte di Salvini, l’operazione di affossamento del governo Draghi non sarebbe stato possibile senza il consenso di Forza Italia, vale a dire del suo padrone: Berlusconi.
Il motivo di questa scelta non è ancora del tutto chiaro, ma una cosa possiamo dire con certezza: questo è l’ennesimo danno grave che Forza Italia ha arrecato al nostro Paese da quando è nata nel lontano 1994. Superfluo ricordare i mille e mille attacchi portati all’economia, all’informazione, alla giustizia, all’ambiente e all’equità sociale dai governi guidati da Berlusconi; al discredito internazionale nel quale ha fatto cadere il nostro Paese; alla invereconda vicenda dei processi, delle condanne e delle inchieste ancora aperte.
Di recente questo infido personaggio si era vestito dei panni di padre della patria – non dimentichiamo che aspirava al Quirinale – e si era fatto anche garante della nascita del governo Draghi. Allora come mai questo ribaltamento di posizione?
Credo sia dovuto alla constatazione che la sua inossidabile convinzione di essere l’uomo politico più intelligente del mondo e la pervicace volontà di rimanere al centro della scena politica, si scontrano con la dura realtà di un consenso elettorale ai minimi storici, circa il 7%.
Dove prendere i voti che mancano per assecondare il suo sogno di egemonia? Ma da quell’allocco di Salvini, al quale facciamo fare il portatore d’acqua/di voti tanto poi possiamo tenerlo a bada a piacimento.
L’idea non è del tutto erratica – anche perché Berlusconi pensa che Salvini non sia uno particolarmente intelligente – ma non tiene conto dell’effetto M ovvero della presenza nell’agone politico della pulzella nostrana che, stando ai sondaggi, vale circa il 20% dell’elettorato ossia un po’ più di 10 milioni di voti. Un numero impressionante, meglio dire inquietante, pensando di che pasta sono fatti questi fratelli italiani (ieri ha parlato perfino la Santanché).
Certo si è che il partito della Meloni è cresciuto negli ultimi anni a danno della Lega (nel 2018 aveva il 4%) e dubito fortemente che cadrà nelle trame berlusconiane.
Quale sia la conclusione di questa storia di straordinaria follia è cosa tutta da scrivere.
Il Presidente Mattarella, indignato per come si è svolta la vicenda, ha appena firmato il decreto di scioglimento del Parlamento e il Consiglio dei Ministri ha fissato la data delle elezioni al 25 settembre.
Dunque ora vedremo come le forze politiche si disporranno rispetto al confronto elettorale nel breve lasso di due mesi, sapendo che sul tavolo ci sono problemi come la guerra, la coda della pandemia, l’inflazione, gli adempimenti per il PNRR, capaci di far tremare le vene e i polsi a chiunque.
Mai come in questa occasione l’incertezza è massima, ma una previsione credo sia possibile, direi opportuno, fare: se dovesse prevalere lo schieramento di destra Lega-FI-FdL, con ogni probabilità alla guida del governo andrebbe la Meloni.
Questo significa che ad incontrare in giro per il mondo la Von der Leyen, Macròn Scholz, Sanchez, Biden, Zelensky e via dicendo, al posto di Draghi vedremmo la pulzella nostrana.
Lo scenario è mortificante solo ad immaginarlo, ma dobbiamo essere consapevoli che ciascuno avrà quello che si sarà meritato con il voto