La democrazia è una benedizione del cielo, ma si porta dietro una maledizione che alla lunga può anche ucciderla. Nella storia è successo spesso.
Non staremo qui ad elencare gli immensi vantaggi delle democrazie rispetto ai regimi autocratici, la letteratura al riguardo è sterminata e, ancora più che la letteratura, è l’esperienza vissuta di miliardi di persone, compresi noi, a dircelo. Nei momenti di crisi però, le autocrazie hanno un vantaggio rispetto alle democrazie, non devono fare i conti con le opinioni pubbliche interne ai loro paesi, da cui viceversa le democrazie non possono prescindere. E le opinioni pubbliche dei paesi liberi sono volubili per definizione.
Sotto la pressione delle emozioni del momento, delle alterne fortune socioeconomiche del proprio Paese, dei messaggi che vengono veicolati dai mass media – ed oggi dai social media – le opinioni pubbliche dei paesi democratici oscillano.
A sua volta la politica ne è dipendente, rincorre le oscillazioni dell’opinione pubblica, le urne elettorali ne registrano gli umori ed i governi soffrono di instabilità. Il che, se si sta nel pieno di uno scontro militare, diventa un problema non da poco.
Per parte loro le autocrazie, quando entrano in conflitto con le democrazie, riescono ad incidere sugli orientamenti delle opinioni pubbliche delle società aperte con le quali sono in conflitto, sfruttando proprio il loro punto apparentemente di forza, la libertà di espressione. Grazie ad essa possono far circolare la propria propaganda e agire sui conflitti interni ai Paesi con i quali confliggono, riuscendo spesso anche a condizionare la composizione dei loro parlamenti e degli organi costituzionali.
Sono dinamiche plurisecolari, ne è cambiata nel tempo la fenomenologia, non la sostanza.
Nel VI-V sec. a.C. i Greci erano un po’ come l’Occidente di oggi. Ogni polis allora si sentiva accomunata alle altre, ma insieme era in costante conflitto con esse e soffriva di instabilità interna. Un po’ come oggi succede tra Regno Unito e UE, e tra i vari Paesi membri dell’UE. E più le polis erano libere, come l’Atene di Clistene e di Pericle, più erano instabili al proprio interno, con segmenti delle proprie classi dirigenti pronte a entrare in combutta ed anche a vendersi agli invasori non appena cadevano in un momento di disgrazia politica nella propria comunità.
Quanto sta succedendo in questi giorni in Italia e in Francia con il ritorno dei populismi antieuropei risponde dunque a dinamiche di antiche radici nell’Occidente. Tuttavia, nonostante le tante divisioni tra e nei Paesi liberi, questi il più delle volte sono risultati vincitori nei conflitti con le autocrazie o le dittature. Nel secolo scorso le democrazie occidentali uscirono vittoriose dallo scontro con i nazifascismi, come lo furono nella lunga Guerra Fredda con l’URSS.
A proposito di nazifascismi, la sinistra comunista di filiazione stalinista, tra il ‘29 ed il ‘33, deliberatamente favorì l’ascesa di Hitler, alleandosi a lui a volte anche elettoralmente pur di combattere il Partito Socialdemocratico, tacciato di socialfascismo in quanto collocato dalla parte della democrazia ‘borghese’ e della costituzione.
Insomma, la storia delle sinistre che, a fronte dell’emergere e della crescita dei populismi, ne fanno proprie le rivendicazioni ‘da sinistra’, finendo così con il rafforzarle suicidandosi, ha una lunga e tragica tradizione in Europa.
L’ultima brillante performance di questa sinistra è stata in Francia tra il primo ed il secondo turno delle elezioni legislative. Per inseguire sul suo terreno il populismo sovranista della Le Pen, Mélenchon le ha steso un magnifico tappeto rosso, tale da farle moltiplicare per 15 il numero dei parlamentari eletti. Però il leader della sinistra francese – e in coro con lui la sinistra radicale italiana – si sente vittorioso grazie all’incremento dei parlamentari della sua compagine e all’indebolimento dell’elitario Macron. Durerà poco, giusto il tempo che la Le Pen ne prosciughi i consensi.
A proposito, ma la Le Pen non è quella che ha parlato, prima in Europa, di “interessi strategici e di civiltà comuni con Mosca, piuttosto che con Washington” e che nel ‘14 si è subito espressa per il riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia, venendo infine gratificata, in occasione del ballottaggio del 2017 con Macron, con un finanziamento diretto di 9 milioni di euro dalla First Czech Russian Bank (Fcrb), fondata nel 1996 con capitali di Praga e di Mosca, acquisita nel 2002 dalla StroyTransGaz (Stg), la società russa che costruisce i gasdotti per la Gazprom? E non è sempre quella che, in occasione del ballottaggio di questa primavera, ha ottenuto ulteriori 10,6 milioni, questa volta dalla banca ungherese MKB di proprietà di Lőrinc Mészáros, plutocrate amico del premier Viktor Orbán, quello che in UE mette i veti alle sanzioni verso la Russia?
Ad Emmanuel Macron che glielo rinfacciava in occasione del dibattito televisivo che si è tenuto mercoledì 20 aprile scorso, alla vigilia e in vista del voto per le presidenziali, lei aveva replicato così: “Se sono stata costretta ad andare a fare un prestito all’estero è perché nessuna banca francese ha accettato di concedermelo”. Credo non ci sia altro da aggiungere.