“Non è un piccolo fiume, il Dnestr, e ha molte insenature, folti canneti fluviali, banchi di sabbia e acque profonde; scintilla lo specchio del fiume, echeggiante del sonoro grido dei cigni, e sfreccia rapidamente sopra di esso la fiera anatra selvatica, e ci sono molte beccacce, chiurli dal becco rosso e uccelli di ogni specie nei canneti e sulle rive. I cosacchi navigavano velocemente sulle strette barche con due timoni, remavano a tempo, aggiravano cautamente i banchi di sabbia, spaventando gli uccelli che si levavano in volo, e parlavano del loro ataman.”
Parlavano, cioè, di Taras Bul’ba. Ricordavano il loro capo appena morto, arso vivo dai nemici polacchi dopo aver perduto i propri figli: il primo giustiziato dagli stessi polacchi e il secondo ucciso dal padre, per aver tradito la causa per amore di una donna.
Quale causa? “Aspettate, dunque, verrà un tempo in cui conoscerete che cos’è la fede russa ortodossa! Già anche ora lo sentono i popoli lontani e quelli vicini: sta sorgendo dalla terra russa un nostro zar e non ci sarà forza al mondo che non si sottometterà a lui!” Così disse il cosacco ucraino Taras mentre già il fuoco del rogo gli avvolgeva le gambe.
Nikolaj Vasil’evic Gogol, nato nella provincia di Poltava, in Ucraina, nel 1809, pubblicò il suo celeberrimo Taras Bul’ba nel 1835. A rileggere oggi, a guerra in corso, queste parole, vengono i brividi. Ci si accorge che tutto cambia, si, ma nulla si perde veramente e molte cose ritornano. Magari sotto altro nome, con diverse sembianze, ma tornano.
Gogol era nato, cresciuto e aveva studiato in Ucraina. Poi era andato a vivere e scrivere in Russia. Visse anche in Germania, Svizzera, Francia e Italia. Soprattutto in Italia, a Roma. Aveva un po’ di sangue cosacco e pure polacco. Era Ucraino? Era Russo? Era Europeo!