Una mia intervista a Stefano De Caro, l’archeologo con radici saldamente vesuviane che però hanno attecchito in tutto il mondo, da Sepino in Molise e poi – in un continuo crescendo rossiniano – da Pompei in tutta Europa e nel mondo, fino ad Angkor Wat in Cambogia, non può che cominciare dai comuni anni pompeiani. Quegli anni fecondi che videro me, giovane architetto e Coordinatore tecnico al Museo Nazionale di Napoli affiancare lui, più giovane archeologo, ma già Direttore degli Scavi di Pompei. L’occasione, frequente, era data dalle tante problematiche tecniche e conservative che allora affliggevano Pompei. Intanto, Luigi Necco, il giornalista napoletano con la passione per l’Archeologia e per il Napoli Calcio, ci aveva definiti i due Dioscuri di Pompei. Fatalmente, Pompei oscurava l’intera Soprintendenza.
D’altra parte, Pompei era la stella del firmamento della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta che si estendeva da Teano al Capo di Sorrento. Oggi lo stesso territorio risulta presidiato da quattro o cinque Soprintendenze e/o Parchi Archeologici, se la memoria non mi inganna.
In quel momento la Soprintendenza archeologica Napoletana, che aveva sede nel Museo Archeologico Nazionale ora MANN, era guidata da Fausto Zevi, un colosso dell’Archeologia contemporanea, di sterminata cultura, incompreso e osteggiato dalla lobby della Burocrazia Romana, perché malvisto e temuto per la sua onestà intellettuale, forse un po’ manichea, ma di esempio per i giovani funzionari. Eravamo sul finire degli anni Settanta del secolo scorso, ahinoi !! anzi ahimè soprattutto!!!
Fatta la doverosa premessa cedo la parola a De Caro.
Puoi fare per i miei lettori una esclusiva rievocazione dei tuoi anni a Pompei e… oltre, nel mondo intero?
Anche se la borsa di studio della Scuola Nazionale di Archeologia mi aveva già dato una grande occasione per trascorrere, nel 1975, un intero anno tra Grecia e Turchia e uscire dal mio piccolo mondo napoletano, devo ringraziare la sorte che mi ha fatto lavorare quasi subito a inizio carriera a Pompei e a Napoli. Questi erano, e sono tuttora, i luoghi archeologici italiani più internazionali dopo Roma e il lavoro in essi comportava l’interazione con équipes di studiosi provenienti da molti paesi stranieri. Alcune di queste relazioni portavano a inviti a tenere conferenze, co-organizzare mostre e attività simili sia in paesi europei (Francia, Germania, Inghilterra, Svezia, ecc.) sia in paesi più lontani. Come gli Stati Uniti o il Giappone che avevano stabilito attività di collaborazione con Pompei fin dagli anni Sessanta e Settanta, con i professori Jashemski e Aoyagi. Ne è scaturita l’esigenza di coltivare altre lingue straniere accanto al francese appreso a scuola e, seppur imperfettamente, ho imparato l’inglese e qualche rudimento di tedesco (ndr troppa modestia, di fatto un poliglotta). Con gli anni, dopo il periodo passato alla Soprintendenza per gli interventi post-sismici, queste opportunità sono riprese per me quando ho cominciato a lavorare alla Soprintendenza napoletana separata da Pompei.
Non solo infatti il Museo Archeologico di Napoli continuava a costituire un punto d’attrazione internazionale con le collezioni pompeiane, ma nuove occasioni di viaggi e contatti sono stati offerti a me e al personale tecnico-scientifico in seguito allo sforzo di valorizzare le altre anime storiche delle collezioni (Farnese, Magna Grecia) e soprattutto il territorio casertano e flegreo, con conferenze e mostre in Svezia, Stati Uniti, Corea, Giappone, Messico, ecc. Negli anni in cui ho lavorato a Roma come Direttore Generale per l’Archeologia, si sono aggiunte alcune occasioni di viaggi per le relazioni bilaterali, le trattative per le restituzioni dei materiali esportati illegalmente, la consulenza richiestaci su temi di organizzazione della struttura ministeriale per la tutela del patrimonio, per l’archeologia preventiva ecc. (Cina, Russia, Grecia, Oman, USA, Israele, Siria, Parigi-UNESCO e altro).
Caro Professore, sei già arrivato al pensionamento. Cosa, dunque, ti è successo dopo la “Pensione”, visto che sei ancora attivo, oltre che vivo e vegeto?
Quando sono andato in pensione, nel 2010, ho avuto un anno di riposo. Ma poi mi è venuta l’idea di provare il concorso per il posto di Direttore dell’ICCROM, il Centro Internazionale di Studi per il Restauro di Roma, e l’aver ottenuto quel lavoro mi ha rimesso nel meccanismo dei viaggi con un ritmo inaspettato. All’ICCROM aderivano infatti circa 150 paesi di tutti i continenti e la sua funzione di centro per la formazione professionale per i conservatori del patrimonio culturale avviato dall’UNESCO, e con una missione specifica nella Convenzione per il Patrimonio Mondiale del 1972, ne fa uno straordinario centro di incontro e scambi internazionali con le agenzie nazionali e le associazioni professionali di tutto il mondo. Essendo inoltre una struttura dotata di pochissimo personale scientifico, io come Direttore e i miei colleghi responsabili delle diverse aree eravamo chiamati a viaggiare continuamente – anche quattro o cinque volte al mese – per rispondere agli inviti nei diversi paesi o partecipare agli incontri organizzati dall’UNESCO nelle molte occasioni di crisi sopravvenute in questi anni.
Una vita da nomade della Cultura e dell’Arte. Quanto ti è pesato questo andirivieni?
Sono stati anni faticosi, migliaia di ore di aereo, vari passaporti riempiti di timbri e visti, a volte passando da una camera d’albergo a una riunione senza riuscire a vedere un museo, un tempio. E tuttavia nelle occasioni in cui sono riuscito a strappare una giornata in più al programma di lavoro, o le modalità di questo mi portavano a visitare un cantiere di restauro, ho visto monumenti e siti della lista del Patrimonio Mondiale incredibili, conosciuto persone di qualità professionale e spessore umano che mi hanno enormemente arricchito.
Adesso, con frequenza, posti sui social storie lunghe ma deliziose per giovani e vecchi archeologi e per i lettori comuni come me. Lo fai con intendimenti didascalici?
Ora che tutto questo è finito, da quando nel 2018 ho concluso il mio incarico, cerco di riordinare e fissare i ricordi utilizzando le fotografie e gli appunti presi durante i viaggi e li pubblico per gli amici su Facebook per rivivere almeno in parte e condividere le emozioni che ancora a posteriori quei viaggi mi suscitano.
A dire il vero non è finito proprio tutto. Il mio curriculum con le esperienze di rapporti con l’UNESCO mi ha procurato qualche nuova richiesta di collaborazione, come la partecipazione al Comitato Internazionale di coordinamento per gli interventi sul sito di Angkor Wat in Cambogia, o a quello istituito per il museo dell’Ermitage di San Pietroburgo quando l’UNESCO lanciò un appello per risollevare questa straordinaria istituzione dalla grave crisi in cui era piombata col crollo dell’Unione Sovietica. Purtroppo questo Comitato si è autosospeso data la situazione attuale di conflitto con l’Ucraina.
Ripensi a Pompei, che è stata la tua Porta di ingresso nel Mondo?
Ogni tanto ripenso al mio percorso da Pompei al patrimonio culturale mondiale e ringrazio Dio per avermi concesso il privilegio di conoscere tante facce dell’umanità.