Andrebbe letto nuovamente il libro di Gaetano Salvemini, “Il Ministro della malavita”, pubblicato nel lontano 1910: si descrive un Mezzogiorno nelle mani dei “mazzieri”, che controllano il voto per consegnarlo alle classi dirigenti del nord. È un meccanismo di formazione del consenso che è tornato di estrema attualità negli ultimi decenni in Italia, stavolta a vantaggio delle classi dirigenti meridionali, che scambiano la propria capacità di controllo del voto con la concessione di una sorta di privativa sul governo totalitario dei feudi locali.
Qualche minimo segno di incrinatura dentro questa robusta costruzione comincia tuttavia a manifestarsi. Accade sempre così quando la politica registra una curvatura eccessivamente verticistica e personalistica: si agitano nel sottofondo del conformismo malumori che cercano solo di trovare un punto di innesco.
È accaduto recentemente nella Russia di Putin, durante le elezioni comunali dell’autunno 2020. In un piccolo paesino della Russia profonda, Povalikhnino, il sindaco uscente non riusciva a trovare un possibile antagonista, senza il quale non si sarebbe potuta nemmeno svolgere l’elezione, secondo le regole vigenti nell’ordinamento russo. Dopo una ricerca estenuante ed inutile tra i 200 abitanti della cittadina, alla fine il sindaco, estenuato, riesce a convincere la sua governante a presentare la propria candidatura. L’esito della elezione lascia riflettere sulle traiettorie del silenzio; dentro le urne viene eletta a furor di popolo la governante.
Diventa indispensabile tornare a riflettere sulle traiettorie per la formazione ed il mantenimento del consenso. Si sono consolidate, nei lunghi secoli delle democrazie, delle dittature e delle democrature, quattro tecniche: la demagogia, la paura, il mercato, i valori. Le prime tre pratiche sono oggi largamente dominanti.
La demagogia è un abito all’ultima moda, reso maggiormente possibile ed attraente dalla diffusione dei new media e dalla crisi profonda della politica.
Con la paura si cementa il consenso che deriva dalle incertezze che rendono i cittadini poi vulnerabili rispetto ai rischi che presentano le società contemporanee.
Il neoliberismo, vittorioso a partire dagli anni Ottanta del secolo passato, ha infettato l’agone politico con sempre maggiore frequenza e scambia la partecipazione alla vita comunitaria per un mercato che mette in compravendita il consenso con i favori.
L’adesione ai valori e la condivisione di un disegno per il vantaggio dell’interesse collettivo è passata di moda. Sembra uno sbiadito dagherrotipo del tempo antico, un oggetto di antiquariato vintage, buono solo per certi intellettuali radical chic.
Però nella storia così non è stato e così non sarà. Le società crescono solo quando trovano un minimo comune denominatore nelle culture che si scambiano, nelle idealità per le quali si spendono, nella creazione di una visione condivisa di futuro.
Demagoghi, stregoni della paura, mercanti del consenso sono destinati ad essere seppelliti come esito delle peggiori stagioni vissute dall’umanità. C’è sempre un momento nel quale la libertà si prende le sue rivincite.
Per questa ragione un gruppo ormai nutrito di intellettuali meridionali ha sottoscritto una lettera appello al segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, per schierarsi contro la possibilità del terzo mandato alla presidenza di una giunta regionale, nel caso specifico parliamo di quella della Campania, ma l’opposizione riguarda in generale la contrarietà ad un principio di furbizia.
Di fronte ad una legge nazionale che vieta esplicitamente il terzo mandato, il giuridicismo deteriore si appoggia ad un inciso della legge per stravolgerne la sostanza: la legge di recepimento regionale viene utilizzata come strumento per il ribaltamento del senso della legge nazionale. Non è altro che quello che ha fatto Vladimir Putin con la Costituzione russa, di volta in volta distorta ad uso e consumo dell’oligarca politico per eccellenza.
Ieri è stata presentata a Napoli questa lettera appello. È solo l’inizio di un percorso. La sala ieri era stracolma. Gli interventi sono stati appassionati. Ora verrà il tempo della costruzione e dell’ascolto. I classici del meridionalismo, come Salvemini, ci ricordano che le battaglie sono difficili ed irte di ostacoli. Gli intellettuali meridionali, però, sono tornati in campo. Ed è già una notizia.