Circolano in queste ore bozze di accordi, dichiarazioni dell’una e dell’altra parte su presunti progressi delle trattative per un cessate il fuoco, proseguono gli incontri bilaterali tra russi e ucraini e tentativi di mediazione di paesi terzi, ma la strage degli innocenti continua. Non è facile venirne fuori senza la sconfitta definitiva dell’una o dell’altra parte, quasi impossibile.
Agli occhi di Putin la provocazione più intollerabile è di avere ai suoi confini una piccola Russia – tale il suo concetto dell’Ucraina – filo occidentale ed anti-russa, la cui organizzazione economico sociale sia fondata sul libero mercato e quella politica sulla democrazia parlamentare. Un vicino parte integrante della storia e della cultura russe in cui vigano lo stato di diritto e le libertà civili, una miscela esplosiva, un virus micidiale, che potrebbe infettare la Grande Russia. Pertanto un qualcosa da stroncare con spietata violenza prima che la contagi.
Il sanguinario autocrate del Cremlino – già da prima dello sfacelo di questi giorni responsabile di 180mila morti tra Cecenia, Georgia, Siria e prima guerra del Donbass, e dell’assassinio di 123 tra giornalisti ed oppositori russi – non ha esitato più di tanto a invadere il libero Stato dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio. Gli Ucraini non avevano sparato neanche un tric-trac sul suolo russo, una invasione senza alcun pretesto, senza alcuna legittimità. L’invasione in tre settimane, secondo le stime più contenute, ha causato due milioni e mezzo di profughi e 15.600 morti, di cui 3.800 civili, 7.500 soldati russi tra i quali 4 generali e 4.300 soldati ucraini. Vale la pena di precisare che sono conteggi precedenti il bombardamento del teatro e della piscina di Mariupol.
Di fronte a tanta efferatezza non si può restare indifferenti, ci si schiera, e chi qui scrive è schierato senza se e senza ma dalla parte ucraina. Ciò però non ci esime di indagare sulle ragioni dell’invasione e del conseguente eccidio.
LE PREMESSE
1989 – caduta del Muro di Berlino e conseguente crollo dell’URSS nel ’91. Con Gorbaciov la Russia si avvicina all’Occidente, la Francia subito apre, addirittura ventilandone l’integrazione nel contesto dell’UE. Gli USA, appoggiati dalla Germania, puntano invece ad allargare e rafforzare la NATO verso Est. La guerra fredda è stata persa dall’URSS, è il momento di incassare i dividendi, ovvero di consolidare la pace.
1991 – a Gorbaciov dagli Stati Uniti e dall’Europa vengono date garanzie non scritte che, a fronte dello smantellamento del Patto di Varsavia e del riconoscimento della indipendenza e sovranità dei Paesi est-europei, anche la NATO sarebbe stata sciolta. Non sarà così, anche per le pressanti richieste della Polonia, dell’Ungheria e della Repubblica Ceca di entrare nella NATO al fine di essere tutelate da eventuali nuove ingerenze russe. “Se noi e gli altri Paesi dell’Est non entriamo nell’alleanza di difesa atlantica – diceva Bronislav Geremek, celebre medievista polacco e Ministro degli Esteri del suo Paese a fine secolo – la Russia in dieci anni ci riprende tutti”. Nell’autunno ’91 cade Gorbaciov e gli subentra Eltsin. Intanto, il primo dicembre, si svolge in Ucraina un referendum sull’indipendenza, il 90% degli Ucraini vota per l’indipendenza.
1994 – Memorandum di Budapest, l’Ucraina accetta di cedere alla Russia tutti gli armamenti nucleari ex sovietici giacenti sul proprio suolo in cambio del riconoscimento da parte russa della sua indipendenza ed integrità territoriale. L’accordo è sottoscritto dalle due parti e garantito da USA e Regno Unito.
1999 – a cinquanta anni dalla sua fondazione la NATO accoglie tra i suoi membri Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Inoltre, contravvenendo al suo status di alleanza difensiva, la NATO interviene militarmente nel conflitto balcanico della ex Jugoslavia. Poi, anno dopo anno, entrano nell’Alleanza: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004; la Macedonia del Nord nel 2020. La Russia si sente ingannata, ma non ha la forza per reagire.
Sempre nel ’99 cade Eltsin e gli subentra Putin, le cui prime iniziative sono di apertura verso l’Europa. Gli USA, in violazione del Trattato Russia-NATO del ’97, decidono di installare scudi missilistici in difesa dei Paesi est-europei e nel 2001 si ritirano dal Trattato anti missili balistici del ’72.Si succedono rivoluzioni liberali filo occidentali nelle repubbliche ancora legate alla Russia.
2013 – a seguito della sospensione unilaterale delle trattative per l’associazione all’Unione Europea da parte del governo ucraino filo russo, scoppia la rivoluzione detta Euromaidan che porterà nel 2014 alla defenestrazione del Presidente Janukovic, filorusso ed eletto con libere elezioni nel 2010. Per Putin si tratta di un golpe orchestrato dagli USA. In primavera i Russi intervengono militarmente nelle province ucraine del Donbass e di Lugansk, a maggioranza russofona e confinanti con la Russia, e si annettono la Crimea, atto mai riconosciuto in sede internazionale.
5 settembre 2014 – accordi di pace di Minsk sotto l’egida dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). L’Ucraina si impegna a garantire autonomia al Donbass e al Lugansk, ivi compreso il bilinguismo ufficiale. Non lo rispetterà, piuttosto si intensificheranno le angherie verso la popolazione russofona, perpetrate in gran parte dal famigerato battaglione Azov, dichiaratamente neonazista.
LA GUERRA
2021 – la Russia teme l’estensione delle rivolte colorate nei Paesi ad essa legati, le ritiene opera degli USA, si sente minacciata e prospetta un Trattato di Pace agli USA che prevede: 1. La fine di ogni ulteriore espansione verso Est della NATO; 2. Il ritiro della NATO dall’Europa Orientale; 3. Lo smantellamento di tutte le testate nucleari USA dall’Europa. È la ricerca del pretesto per attaccare, quasi un ultimatum.
24 febbraio 2022 – senza essere stata attaccata, avendo anzi dichiarato urbi et orbi che non aveva alcuna intenzione di fare guerra all’Ucraina, la Russia invade il suolo ucraino. Forse Putin confida nel sostegno del popolo ucraino, quanto meno della sua componente russofona, convinto che il governo filoccidentale di Zelensky sia inviso in patria, così non è. Così come è convinto che l’Occidente si dividerà e che alcuni Stati europei che dipendono dal gas russo si defileranno, perciò moltiplica i colloqui bilaterali. Contro le sue aspettative il popolo ucraino si compatta intorno al suo Presidente, resiste e combatte con eroica determinazione. Vuole far parte dell’Occidente e non accetta il giogo russo. Per stremarlo Putin autorizza l’eccidio dei civili. È una criminale barbarie. L’Occidente reagisce in inusuale coesione. In Russia, a Mosca e San Pietroburgo in particolare, emergono dissensi e proteste contro la strage fratricida e Putin, spalleggiato dal fanatico fondamentalista Kirill, patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie, e dalla grande maggioranza del popolo russo, dichiara che il suo Paese si sta facendo corrompere, sta degenerando, necessita quindi di una radicale ‘autopurificazione’. Non parla di purificazione della razza, ma ci rassomiglia.
LA PACE IMPOSSIBILE
Perché dunque la pace è pressoché impossibile, a meno della resa dell’Ucraina o della defenestrazione di Putin? Perché l’autocrate si è impantanato in Ucraina, se non ottiene la resa di Zelensky la forza di attrazione del modello occidentale nella sua area geopolitica di influenza non sarà più arginabile, la potenza di deterrenza della sua mastodontica armata si sarà rivelata un’impotenza e nessuno potrà più bloccare le prevedibili nuove Euromaidan in Bielorussia e nelle poche restanti repubbliche filorusse, forse nella stessa madre patria. Ora attenzione, date un occhio alla mappa e fissatelo su Kaliningrad, enclave russa sul Baltico. Quanta analogia con la Prussia orientale degli anni tra le due guerre. Cosa potrebbe succedere se la rivoluzione liberale contagiasse anche quel territorio?
Se viceversa l’Ucraina sarà costretta alla resa, i Paesi est-europei si sentiranno non più protetti, vulnerabili, abbandonati. Dopo l’indecorosa ritirata dall’Afghanistan sarebbe un colpo mortale per l’Unione Europea e per Biden. La tigre si rileverà di carta. E in Cina sta qualcuno si fregando le mani.
Niente, nessuno può cedere, il meglio che si può ottenere dai tavoli negoziali in corso è un cessate il fuoco, con la speranza che il tempo poi stemperi gli animi. E già questo sarebbe un sollievo, ma non la pace è un’altra cosa.