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Lorenzo Parelli vittima di un sistema che non funziona

by Giulio Espero
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La morte di Lorenzo Parelli, lo studente deceduto il 21 gennaio scorso proprio l’ultimo giorno di formazione presso un’azienda metalmeccanica in provincia di Udine, è un evento forse troppo vicino nel tempo per parlarne con la giusta serenità, se questa parola non risultasse scandalosamente fuori luogo. Abbiamo quindi aspettato qualche giorno per cercare di fare qualche riflessione non troppo influenzata dallo sgomento di fronte alla morte assurda di un ragazzo che si stava appena affacciando alla vita adulta. Una vicenda, straziante e umanamente inaccettabile, che ha innescato inevitabilmente una scia di polemiche.

Il primo colpevole individuato dall’opinione pubblica è stata la famosa Alternanza Scuola/Lavoro, ovvero quel percorso formativo (oggi chiamato PCTO – percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) introdotto per la prima volta nel 2003 e perfezionato nel 2015 nell’ambito della cosiddetta Buona Scuola. Parliamo di 400 ore di formazione dedicata al lavoro nell’ultimo triennio degli istituti tecnici e professionali e di 200 per i licei. Riforma mal digerita sia dagli studenti che, forse soprattutto, dal corpo docente.

Un’ottima intenzione quella di avvicinare il mondo della scuola al mondo del lavoro reale, sia pure soffocata da un profluvio di carte e adempimenti burocratici, ma non adeguatamente preparata in relazione alle effettive offerte lavorative del territorio. Penso soprattutto alle regioni meridionali, dove i professori hanno dovuto veramente fare i salti mortali per trovare aziende coerenti, per numero e tipologia, con la formazione scolastica.

Tecnicamente, però, l’incidente di cui è stato vittima il povero Lorenzo pare non si sia generato nell’ambito dei PCTO di cui prima, ma dei cosiddetti leFP. Ovvero quei corsi triennali di istruzione e formazione professionale, realizzati dalle strutture formative accreditate dalle Regioni, dove la parte lavorativa vera e propria in azienda arriva al 50% dell’intero monte ore. Corsi dove si impara un mestiere, insomma, come quando una volta si mandava un ragazzo a bottega.

Un vero e proprio incidente sul lavoro, quindi, che fa nascere il sospetto che dietro la facciata della formazione professionale qualche datore di lavoro scafato ne approfitti per avere un po’ di manodopera gratis. Una vicenda che attiene alla ancora più complessa, problematica e generale questione della sicurezza sul lavoro, che registra incidenti e vittime sempre troppo numerose nel nostro paese.

Gli studenti che in questi giorni hanno protestato fortemente in varie città italiane (mentre scriviamo si stanno svolgendo nuove manifestazioni) avrebbero quindi forse (in parte) sbagliato bersaglio. Ma le manganellate le hanno beccate comunque. Questo è davvero uno strano paese: se un gruppo di scalmanati no vax, frammisto a qualche fascistello di ritorno che in Italia non manca mai, vuole assaltare una sede sindacale, li si lascia fare. Se invece un gruppo di studenti, magari ingenui, magari anche infiltrati come affermato dalla ministra Lamorgese, vuole protestare contro un meccanismo che ha portato alla morte di un loro compagno, sono botte da orbi. La risposta muscolare dello Stato appare quantomeno sproporzionata. A proposito, sono cinquant’anni che sentiamo parlare di infiltrati ai cortei e alle manifestazioni, ma abbiamo capito almeno chi sono?