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Da Pompei agli altari, ricordo personale di Padre Toppi

by Federico L. I. Federico
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E’ ormai diffusa in tutti gli ambienti della Chiesa campana la gradita notizia che riguarda l’esito positivo della causa di beatificazione di un frate cappuccino di Brusciano, l’ex Vescovo di Pompei, Francesco Saverio Toppi. Ebbene – dopo avere ottenuto il N.O. da parte della Congregazione per le Cause dei Santi, allo scopo attivata nel 2014 dall’attuale Arcivescovo pompeiano Tommaso Caputo – Toppi ha raggiunto il traguardo della decretazione a Venerabile, da parte di Papa Francesco.

Passato il momento del fervore per la notizia, abbiamo scelto di scrivere una personale testimonianza sul nuovo Venerabile, in quanto ciò non è difficile per chi lo ha conosciuto da vicino come Vescovo di Pompei negli anni dal 1990 al 2001, che lo hanno visto all’opera al vertice del Santuario di Pompei,

In quegli anni, il Santuario pompeiano opera di Bartolo Longo era un frequentatissimo e, per questo motivo, un po’ anche un caotico “porto di mare” della fede. Erano anni in cui la crisi delle presenze dei pellegrini non era nemmeno alle viste. Anzi quello di Pompei era rimasto negli anni Novanta del Novecento tra i pochi santuari a “contenere la concorrenza” dei luoghi di culto del Cappuccino Padre PIO, dal 2002 San Pio dalla Chiesa Romana, ma ostinatamente ancora oggi più frequentemente definito Padre PIO dal “popolo di Dio”, che è poi la gente comune, la quale lo venera particolarmente.

In quegli stessi anni una forte attrazione su quella stessa gente comune era esercitata dalla figura dal Vescovo di Pompei, un cappuccino come Padre Pio, l’oggi Venerabile Toppi.

Un frate mite e mistico, di fisico gracile e piccola statura, dotato però di un sorriso aperto, luminoso e disarmante per chi gli era vicino. I rumors e le voci sommesse di corridoio che correvano nel Santuario Pompeiano parlavano con insistenza della straordinaria forza mistica di quel cappuccino minuto, capace di rimanere in estasi profonda e prolungata durante le messe, silenziose e riservate a pochi astanti, che egli celebrava di prima mattina per la sua “Maria”.

Un altro tratto, molto umano e apprezzato da chi gli era di fronte, era il suo porsi con spontaneità e cordialità, dando e chiedendo per sé il “TU” dei semplici. E padre Toppi spesso indulgeva nel rivolgersi in dialetto agli astanti, con battute bonarie o addirittura autoironiche sulla propria modesta statura. Come quando a volte gli capitava di dire, in perfetta lingua napoletana: “Je so’ curto, ma Dio ha vuluto che m’a facesse ch’ ‘e luonghe, comm’ a Bbartolo Longo”, accompagnando le parole con un sorriso accattivante e arguto, ravvivato da occhi luminosi e vivaci, attraversati da lampi di intelligenza e arguzia.

Padre Toppi era anche capace di leggere “dentro” chi gli stava davanti e di rabbuiarsi improvvisamente con sguardo severo, quando coglieva il buio di alcune anime, morte alla luce del suo Cristo salvatore. Ma pronto anche a spogliarsi di ogni autorità formale derivantegli dal ruolo ricoperto nella gerarchia ecclesiastica, affidando all’interlocutore la responsabilità di operare secondo le intese con lui raggiunte e di riconoscere i propri errori oppure ancora, al contrario, di assolversi, perché egli stesso gliene conferiva la piena facoltà, dopo avergli letto “dentro” e avergli detto: Faje tu…Te saccio!

Insomma un uomo e un vescovo decisamente straordinario, un cappuccino Campano che potrebbe presto essere dichiarato Santo della Chiesa Universale.