Dal Sindaco Manfredi che bacchetta il mondo accademico, al direttore dell’Asl, Verdoliva, che chiama la polizia per la ressa al teatro. Luoghi e momenti differenti di un unico contesto ambientale: quello di una città povera.
Sabato scorso, alla facoltà di Architettura, Manfredi ha detto che “l’élite culturale non è l’autocelebrazione di se stessi”. Tant’è che “quando apriamo un cassetto e cerchiamo un progetto non c’è”. Parole sacrosante. Sostanzialmente incontestabili. Ancora più forti se dette dall’ex Rettore del nostro principale ateneo.
L’altro giorno, al San Carlo, c’è stata la prima del film di Sergio Rubini sui De Filippo. Serata di gala, ad inviti. Presenti, oltre al Sindaco, I Presidenti di Camera e Senato. Ma, complice un’infelice organizzazione degli ingressi, è nata una calca indegna e pericolosa in epoca Covid. C’era anche Verdoliva, che prima ha chiamato i suoi ispettori e le forze dell’ordine, poi se n’è andato. Non senza aver commentato: “una vergogna, erano tutti in fila come animali”. Ben detto. Al teatro come ai baretti della movida, padri e figli sulla stessa lunghezza d’onda.
Due facce di una stessa medaglia. Quella di un’élite culturalmente povera, espressione di una città economicamente povera. Il livello di una classe dirigente è infatti determinato dal mercato. Una realtà industriale importante ha bisogno di profili professionali di assoluto valore. Ad un tessuto produttivo che vive essenzialmente di spesa pubblica ed opera spesso ai limiti della legalità, basta un vincitore di concorso.
E’ la struttura che determina la sovrastruttura. Non è sulle élite che si costruisce lo sviluppo. Abbiamo bisogno di una seria politica del lavoro.