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La città di prossimità

by Alessandro Bianchi
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Nel dibattito sulle politiche urbane riguardanti soprattutto le grandi città, è emerso da qualche tempo un tema molto particolare: quello delle Città di prossimità o Città dei quindici minuti.

L’idea è stata formulata per la prima volta da Carlos Moreno, docente dell’Institut d’administration des enterprises della Sorbona di Parigi, che già nel 2016 sosteneva che “è tempo di passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita urbana. Ciò significa trasformare lo spazio della città, ancora altamente mono-funzionale con le sue diverse aree specializzate, in una realtà policentrica, basata su quattro componenti principali -vicinanza, diversità, densità e ubiquità- per offrire a breve distanza le sei funzioni sociali urbane essenziali: vivere, lavorare, fornire, curare, imparare e godere”.

Tradotta in termini pratici la teoria di Moreno porta a dire che in un determinato ambito urbano – il riferimento più semplice sembra essere il quartiere – i servizi sanitari, scolastici, culturali, ricreativi, sportivi, commerciali e via dicendo debbono essere raggiungibili in non più di quindici minuti, a piedi o in bicicletta.

L’idea esce dal ristretto dei laboratori universitari balzando all’attenzione pubblica a livello internazionale allorché, nel gennaio del 2020, viene pubblicato “Le Paris du quart d’heure”, un dossier a cura di Anne Hidalgo nel quale vengono presentati i punti salienti della proposta e viene avviata una sperimentazione sulla città di Parigi, di cui la Hidalgo è Sindaca.

 

 

Nel dossier Moreno esplicita ancora più puntualmente la sua idea:

Che cos’è la città del quarto d’ora? È la città della vicinanza, una città dove le persone sono alla fine della strada, dove ci conosciamo, dove ci incontriamo, dove viviamo insieme e dove ci prendiamo cura della nostra vita, dell’ambiente, del bene comune e degli altri. La città del quarto d’ora è la condizione per il successo della transizione ecologica e della solidarietà essenziale che deve svilupparsi affinché nessuno venga escluso”.

E dal canto suo la Hidalgo aggiunge:

E’ la città che non lascia indietro nessuno. È la città di prossimità dove puoi trovare tutti i servizi di cui hai bisogno a 15 minuti a piedi da casa. E’ la condizione per la trasformazione ecologica della città”

Sembra il giardino dell’Eden per cui una simile proposta non poteva non suscitare anche in Italia l’interesse degli specialisti – urbanisti, architetti, ingegneri del territorio – che hanno dato vita a convegni, seminari e iniziative simili per discuterne, nonché a molteplici pubblicazioni sull’argomento e a qualche prima sperimentazione. Ma al punto in cui siamo, a mio parere occorre fare molta attenzione per evitare sia che si rimanga su un terreno astratto o che sul terreno pratico vengano avviate sperimentazioni avventate, il che richiede di fare alcune riflessioni più puntuali su ciò di cui stiamo parlando e sulla sua applicabilità.

Anzitutto va detto che ciascuna città porta con sé caratteri diversi e peculiari, per cui ogni idea ha bisogno di essere contestualizzata. Le sia pur poche esperienze avviate – a Barcellona, a Sidney, a Portland, oltre a quella di Parigi – mostrano in maniera evidente che l’idea di base è la stessa, ma i percorsi attuativi sono inevitabilmente diversi tra loro. Insomma non esiste – né può esistere – un manuale della città dei quindici minuti da cui trarre indicazioni su cosa e come fare; esiste solamente una idea-guida su cui ragionare attentamente per adattarla ai singoli casi di specie.

 

 

Poi dobbiamo valutare di quale dimensione urbana stiamo parlando.

Nella città di Sidney – che si dice fiera di essere una 20-minutes city – è interessato l’intero centro urbano, circa 170.000 abitanti; a Parigi viene applicata ai Quartiers/Arrondissement (non sempre coincidenti) che vanno da circa 16.000 a 230.000 abitanti; a Portland si parla addirittura della maggior parte della città, cioè quasi 600.000 abitanti; a Barcellona la suddivisione per Superilles/Superblocks di nove isolati porta a stimare circa 20.000 abitanti.

Dunque, sembra ragionevole pensare che la dimensione demografica di riferimento debba essere compresa all’interno di questo ampio intervallo di popolazione. Ad esempio, nel caso di una città come Roma, che sta tentando di muoversi su questa strada, il riferimento più credibile sembrano essere i Municipi, la cui popolazione varia tra 130.000 e 300.000 abitanti.

Ancora va precisato quali sono i servizi che devono essere raggiungibili in quindici minuti, perché i servizi hanno livelli differenti di prestazione. Certamente non si può pretendere che in un ambito urbano, sia pure medio-grande, si possano trovare servizi di livello superiore: un Ospedale generale, una Università, una Basilica, un Auditorium, uno Stadio olimpico e via dicendo. Questi rimarranno ubicati nei luoghi centrali della città, mentre per altro verso va dato per scontato che siano presenti i servizi di base: ambulatori, scuole medie, cinema e teatri, campi sportivi, mercati e simili.

Dunque i servizi a cui accedere in quindici minuti sono quelli intermedi, che potranno essere individuati solo tramite un censimento delle presenze, il che costituisce il punto di partenza di qualsiasi programma di città di prossimità. Va anche detto, per rispettare lo spirito generale della proposta, che una volta Individuati i servizi mancanti per quelli da realizzare i progettisti si devono attenere scrupolosamente al criterio che non si costruire nulla di nuovo, ma solo rigenerare spazi ed edifici esistenti.

Infine, occorre ragionare sui quindici minuti e sul tipo di mobilità.

Detto che una soglia superiore va fissata altrimenti salta il requisito di base, non è detto che questa debba essere sempre la stessa. Dagli esempi richiamati discende che un intervallo di soglia compreso tra quindici e venti minuti è il più ragionevole, dopodiché si dovrà valutare caso per caso. Certamente sarebbe bene accantonare la definizione di Città dei quindici minuti e usare quella, molto più appropriata, di Città di prossimità.

Quanto alla mobilità la mia opinione diverge da quella che va per la maggiore secondo cui deve essere solo pedonale o in bicicletta, perché questo escluderebbe tutte le persone che non possono (disabili, anziani, bambini) o non vogliono camminare o andare in bicicletta. Mi sembra piuttosto evidente che occorre assicurare una mobilità anche per queste persone, il che va fatto con mezzi che rispettino a pieno i requisiti ecologici, come minibus elettrici e tram.

Adottate queste accortezze, l’idea che la città di prossimità possa assicurare una migliore condizione sociale e, al contempo, andare incontro alle esigenze ecologiste è una prospettiva reale da perseguire che, tuttavia, richiede non solo di modificare la City Governance, ma anche di introdurre una mutazione culturale verso un modo nuovo di pensare la città da parte dei cittadini.