I dati sulla gestione dei rifiuti urbani in Campania, pubblicati di recente dall’Osservatorio regionale gestione rifiuti [http://orr.regione.campania.it/index.php/11-dati-certificati-raccolta-differenziata/126-d-d-n-131-dati-produzione-rifiuti-urbani-percentuale-raccolta-differenziata-tasso-riciclaggio-anno-2020.html], sono i primi ufficiali disponibili riferiti al 2020, prima ancora che l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, renda noti i dati nazionali nel suo consueto rapporto tematico previsto per dicembre.
I dati regionali si basano sul contributo determinante dell’Arpa Campania, in particolare della Sezione regionale del Catasto rifiuti, incardinata nella Direzione Tecnica dell’Agenzia. E’ Arpac, ad esempio, a guidare i 550 comuni campani nell’utilizzo della piattaforma ORSo. Un acronimo noto solo agli addetti ai lavori, che indica un applicativo utilizzato a partire dal 2017 in Campania, prima regione del Mezzogiorno ad averlo implementato. ORSo (Osservatorio rifiuti sovraregionale) è il sistema in base al quale vengono tracciati i rifiuti prodotti da ogni comune, le frazioni differenziate (organico, carta e cartone, plastica, vetro, eccetera) e la quota residua di rifiuti indifferenziati.
I dati forniti dai comuni attraverso il sistema ORSo sono confrontati con quelli dichiarati dai gestori degli impianti, per avere un quadro aggiornato dell’intera filiera di gestione dell’immondizia prodotta dalle nostre case. Filiera che va dalla raccolta dei rifiuti strada per strada, o porta per porta, fino alla destinazione finale (discarica, inceneritore, recupero o riciclo) passando attraverso varie tappe intermedie: isole ecologiche, siti di trasferenza, impianti di trattamento meccanico-biologico, eccetera.
Ma veniamo ai dati. Nel 2020 la Campania ha prodotto 2 milioni e 560mila tonnellate di rifiuti urbani (a grandi linee, rifiuti da utenze domestiche e da utenze assimilate a quelle domestiche). Di questi, 1 milione e 386mila tonnellate sono passati attraverso la raccolta differenziata, cioè il 54,2%. Il grafico in alto racconta una storia interessante: la raccolta differenziata in Campania è in crescita tendenzialmente costante negli anni, tuttavia, dopo una fase di grande dinamismo vissuta in quegli anni in cui la Regione si è impegnata a voltare pagina rispetto alla stagione dell’emergenza, la crescita è poi rallentata negli ultimissimi anni, tanto che la curva si è sostanzialmente stabilizzata.
In una nota recente diffusa da Arpac, il direttore generale Stefano Sorvino ha spiegato che il rallentamento nei progressi della differenziata «è in parte fisiologico ed è dovuto anche alla complessa gestione di realtà urbane di grandi dimensioni». Tra queste, ovviamente, c’è il capoluogo di regione. La città di Napoli nel 2020 ha differenziato il 34,45% dei rifiuti urbani prodotti, una quota decisamente al di sotto della percentuale di differenziata raggiunta a livello regionale. Se si pensa che due anni prima, nel 2018, la prestazione del capoluogo partenopeo era al 36% di differenziata, si nota come uno dei freni più forti è da cercare proprio nelle aree più densamente popolate del territorio. In due anni, la quantità di organico raccolta separatamente è calata a Napoli di ben il 45%, un dato che fa riflettere. Se si amplia lo sguardo al quadro più ampio dei flussi di rifiuti urbani, si intuisce che la raccolta separata dell’organico trova un forte ostacolo nella carenza di impianti di trattamento sul territorio e in particolare dalla dipendenza da impianti di altre regioni che possono decidere di porre limiti, qualitativi o quantitativi, ai contingenti di rifiuti che importano dalla Campania. È successo ad esempio nel 2019, con una decisione di un importante impianto di trattamento in provincia di Padova.
Se i mancati progressi nella gestione dell’organico, e in particolare nella gestione dell’organico in alcune aree della regione, non trascinano la curva della differenziata verso il basso, lo si deve al traino offerto da altre frazioni, dove la filiera locale è più performante. Importanti miglioramenti si registrano nella raccolta di carta e cartone che è passata in un anno a livello regionale da 208mila tonnellate a 221mila tonnellate, del vetro che è rimasto costante a 153mila tonnellate, e della plastica che è passata da 150mila a 154mila tonnellate.
Insomma, nonostante gli evidenti progressi degli ultimi quindici anni, il territorio sconta ancora la questione della mancata autonomia sul piano degli impianti, perlomeno per quanto riguarda gli impianti destinati a trattare l’organico. Questo è uno dei motivi per cui c’è ancora uno scarto rispetto al dato nazionale sulla differenziata che è del 61,3% nel 2019 (fonte: Ispra, Rapporto Rifiuti Urbani 2020) e rispetto alle stime del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani che prevedevano per il 2020 una differenziata al 65% in Campania.
Dai dati, dunque, in estrema sintesi, emergono i temi dell’autonomia impiantistica, di prestazioni diverse delle varie frazioni di differenziata, e delle differenze territoriali. Abbiamo già detto delle difficoltà registrate nella città di Napoli. C’è da aggiungere che, a prendere i dati 2020 sulla differenziata in Irpinia, Sannio, e in provincia di Salerno, siamo già oltre il dato nazionale e nel caso delle province di Benevento e Salerno anche oltre la previsione del Prgru (Avellino e provincia sono al 64,62%, Benevento e provincia al 73,49%, Salerno e provincia al 65,74%, mentre Caserta e provincia sono al 53,19% e Napoli e provincia al 48,49%). Non è una novità, nel senso che nell’edizione 2020 del Rapporto Rifiuti Urbani Ispra, basato sui dati del 2019, Benevento risultava la 28esima provincia italiana nella classifica dei territori che differenziano di più, la prima del Mezzogiorno. La folta schiera dei piccoli e medi comuni disseminati soprattutto nelle province meno urbanizzate traccia un quadro confortante, tanto che più di trecento comuni campani superano il 65% di differenziata. Risultati brillanti si registrano anche in comuni con un peso demografico più cospicuo: ricordiamo il caso di Marcianise (Caserta) con l’81,40%, per citare un comune che supera i 30mila abitanti.