In questi giorni, si sta consumando uno scontro molto duro tra il Parlamento Europeo e il Governo della Polonia sulla questione dei diritti civili. Parliamo, come noto, degli esiti della pronuncia della Corte Costituzionale polacca che, dopo ben quattro rinvii (la sentenza era attesa per luglio), giovedì scorso si è chiaramente determinata sulla supremazia del diritto nazionale sul diritto comunitario.
La Corte ha affermato, in maniera perentoria, che alcuni articoli dei Trattati della UE sono “incompatibili” con la Costituzione dello Stato polacco e che le istituzioni comunitarie “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”. Si va addirittura oltre, quando vengono configurati i possibili scenari in caso di conflitti insanabili tra i due apparati normativi: modifica della Costituzione, modifica della legge europea o uscita dalla UE.
Duro ed immediato il commento del presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, che sgomberando il campo da ogni tentennamento ha affermato: “…il verdetto di giovedì in Polonia non può rimanere senza conseguenze. Il primato del diritto dell’Ue deve essere indiscusso. Violarlo significa mettere in discussione uno dei principi fondanti della nostra Unione”.
La querelle, è bene ricordarlo, è iniziata lo scorso marzo, allorquando il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha chiesto l’intervento della Corte Costituzionale in merito alla riforma della magistratura laddove prevedeva l’istituzione di una sezione disciplinare presso la Corte Suprema. Riforma voluta dal partito ultraconservatore al governo, Diritto e giustizia (Pis), ma subito contestata ed osteggiata sia dalla Ue che dalla Corte di Giustizia europea, in quanto ritenuta lesiva della indipendenza ed autonomia dei giudici.
Ma i rapporti Polonia/UE sono tesi da un bel po’. Basti ricordare che il Pnrr polacco, da 52 miliardi di euro, non ha ancora ricevuto il via libera da Bruxelles perché non rispetterebbe i principi della Rule of Law, in base ai quali il quale il potere pubblico deve soggiacere al diritto e non essere esercitato in modo arbitrario. Senza dimenticare lo scontro legato alla creazione di aree “Lgbt-free” in oltre 100 regioni, contee e comuni polacchi e le politiche governative sempre più antiabortiste.
Morawiecki ha chiesto comprensione e reciprocità e disponibilità a condurre il dialogo con spirito di rispetto, in una lettera inviata Parlamento UE, alla Commissione europea e al Consiglio europeo, ma al contempo ha mostrato i muscoli ribadendo che la Polonia è determinata a difendere la propria sovranità contro le istituzioni europee che, secondo Varsavia, agiscono oltre il loro potere e usano la leva finanziaria per usurpare poteri.
Perentoria e decisa la risposta di ieri, nel Parlamento europeo, della Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. “Questa sentenza — ha detto — mette in discussione i fondamenti dell’Unione europea. È una sfida diretta all’unità dell’ordinamento giuridico europeo. Solo un ordinamento giuridico comune garantisce pari diritti, certezza del diritto, fiducia reciproca tra gli Stati membri e quindi politiche comuni”.
Non le ha mandate certamente a dire, soprattutto quando, senza troppe sottigliezze, ha minacciato il blocco dei fondi destinati alla Polonia da Recovery Fund. “Le regole sono chiarissime. Abbiamo stabilito per legge che ci sono investimenti associati a delle riforme. Le riforme devono seguire le raccomandazioni specifiche per Paese. Una di queste, per la Polonia, è il ripristino dell’indipendenza della giustizia. Questo significa eliminare la sezione disciplinare e il reintegro dei giudici ingiustamente licenziati”.
Lo scontro è senza precedenti nella storia dell’Unione e dovrà essere affrontato con estrema cautela ma senza tatticismi bizantini. Il trauma della Brexit è ancora vivo, ma altrettanto pericoloso sarebbe dare la stura a nazionalismi autoreferenziali a senso unico, dove la UE viene vista solo come una vacca da mungere.
Come sono lontani i tempi di Solidarnosc e di Papa Woytila.