“Rigenerare il Bel Paese – La cura di un patrimonio dismesso e sconosciuto” è il titolo del libro appena uscito, edito da Rubbettino, scritto da Alessandro Bianchi e Bruno Placidi. Lo aspettavamo già da un po’ perché il professore Bianchi, che cura su questo giornale la rubrica “City Governance”, ce ne aveva preannunciato l’imminente pubblicazione ed eravamo particolarmente interessati a scoprire come avrebbe trattato un tema che, soprattutto in questo momento di pianificazione generale legata al Recovery Plan, può risultare centrale nelle dinamiche complessive (e complesse) dello sviluppo sostenibile.
Partiamo subito col dire che non siamo d’accordo con lui quando definisce il proprio lavoro un “libretto”. Lo ha fatto in occasione della prima presentazione del volume tenutasi qualche giorno fa a Roma con l’intervento, tra gli altri, della Sindaca Raggi. Non siamo d’accordo perché l’opera rappresenta senz’altro un significativo contributo analitico in chiave storica e prospettica, un approfondimento direi quasi filosofico-politico, un’offerta metodologica ed una concreta prospettazione casistica di assoluto interesse.
Siamo invece stati d’accordo con lui quando ha accettato la candidatura alle prossime comunali romane offertagli dalla Raggi durante la presentazione del libro. Aldilà delle preferenze politiche e di chi vincerà l’imminente competizione elettorale, il suo contributo all’assemblea capitolina sarebbe certamente utile non foss’altro che per il patrimonio di esperienza e competenza che sarebbe in grado di mettere a disposizione. Urbanista, docente universitario, Direttore della Scuola di Rigenerazione Urbana Sostenibile – La FeniceUrbana, Consigliere Svimez, già Ministro dei trasporti, Bianchi offrirebbe un supporto concreto alle scelte che il Comune di Roma è chiamato ad assumere.
“Qualità della vita, ricchezza, lavoro, possono infatti crescere in un sistema locale se ‘trascinati’ da una nuova funzione (sia essa pubblica o di mercato) di ‘livello superiore’ rispetto a una preesistente offerta del sistema locale medesimo”. Questo passaggio sintetizza efficacemente, a nostro giudizio, l’impostazione concettuale dell’opera. Che nel suo sviluppo, che va dal generale al particolare, dalle necessità di definizione dei termini di principio ai casi di studio passando attraverso i profili strategici e le ricognizioni empiriche, si presenta coerente e, per dirla con un gioco di parole, “sostenibile”.
Forse vi si può scorgere un rovesciamento del rapporto tra struttura e sovrastruttura, come se fosse quest’ultima a determinare la prima e non viceversa. Ma noi siamo affetti da pragmatismo acuto e siamo rimasti legati all’idea che sia stata la borghesia a fare la Rivoluzione francese e non la Rivoluzione a creare la classe borghese.
Però quello che conta è che l’analisi concreta delle fattispecie trattate nel libro è tanto lucida quanto pregnanti sono le risposte metodologiche agli specifici problemi, in un discorso di sintesi che apre importanti scenari di crescita culturale e di confronto dialettico.