Prosegue la corsa per la veloce attuazione del Recovery Plan predisposto dal governo Draghi: circa 220 miliardi di euro, tra Recovery Fund e Fondo complementare, spalmati su sei misure di investimento da destinare alla ripresa post epidemica.
Il Consiglio dei Ministri del 30 giugno ha infatti approvato un disegno di legge delega in materia di contratti pubblici che conterrebbe misure urgenti – già in parte adottate con il cosiddetto decreto Semplificazioni bis – e misure a regime volte a:
- Massima semplificazione delle procedure d’appalto attraverso un più stretto legame tra normativa nazionale e direttive europee, prestando una particolare attenzione alla qualificazione delle stazioni appaltanti con il potenziamento e la specializzazione del personale;
- Tempi certi per le procedure di gara, per la stipula dei contratti e per la realizzazione degli appalti, comprese le opere pubbliche che dovranno essere sempre più orientate all’innovazione e alla sostenibilità;
- Massima semplificazione anche per gli investimenti in tecnologie verdi e digitali e per l’innovazione e la ricerca, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, così da aumentare il grado di eco sostenibilità degli investimenti pubblici.
Si parla anche dell’inserimento nei bandi di gara di clausole sociali e ambientali come requisiti necessari o premiali dell’offerta, al fine di promuovere la stabilità occupazionale, l’applicazione dei contratti collettivi, le pari opportunità generazionali e di genere.
Il ministro Giovannini ha commentato (sito MIT): “…Lo scopo è fare presto, fare bene, nel pieno rispetto delle norme in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, tutela dei lavoratori, di trasparenza e di legalità… L’obiettivo è di garantire l’efficienza del sistema degli appalti, favorendo la concorrenza tra gli operatori, fornendo regole chiare e garantendo allo Stato la migliore gestione degli investimenti pubblici…”
Auguri! Ci viene da dire senza alcuna ombra di sarcasmo.
L’Italia, anche in materia di lavori pubblici, è il paese della ipertrofia legislativa. Lo stesso attuale codice degli appalti, approvato nel 2016, avrebbe già subito secondo alcuni calcoli circa una sessantina di modifiche rispetto al testo originario. Senza dimenticare né la tanto sbandierata soft law dell’Anac, che ogni mese diffonde la sua interpretazione autentica su vari argomenti, né i TAR che in tema di gare e soprattutto di affidamenti hanno il loro bel da fare. Chiunque lavori in una pubblica amministrazione conosce bene lo sconforto e la paura che si prova quando si tratta di affrontare una gara pubblica. Per non parlare dei percorsi tortuosi e levantini in materia di autorizzazioni, da quelle urbanistiche a quelle paesaggistiche e ambientali.
Pur nella genericità tipica di una legge delega, di cui peraltro non si conosce ancora il testo, sembra comunque intravedersi lo spirito pragmatico di Super Mario che non può perdersi dietro semplici dichiarazioni di intenti. I problemi e gli impegni presi con Bruxelles sono davvero troppo importanti ed il passaggio obbligato sembra essere la “drastica riduzione delle norme” e la riduzione della cosiddetta “disciplina secondaria”.
Già si affilano i coltelli. L’Anac accetterà di essere ridimensionata? Il criterio del massimo ribasso che fine farà? Cosa diranno i sindacati sulla liberalizzazione del sub appalto? Come verranno scelte le stazioni appaltanti da conservare e quelle da eliminare? (Oggi pare siano quasi trentaduemila). Ma soprattutto, saremo capaci di guardare senza sospetti o dietrologie a meccanismi di aggiudicazione più discrezionali e meno numerici, come il dialogo competitivo o le procedure negoziate con bando, dove la flessibilità è un pregio e non una ruberia?
Abbiamo i nostri dubbi, del resto già una volta abbiamo fatto l’Italia e poi gli italiani. E non è andata benissimo. Comunque, il governo avrà sei mesi per i decreti attuativi. Se son rose fioriranno!