1. Come è noto il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” messo a punto dal Governo (Conte2 prima, Draghi poi) è l’elaborato che contestualizza alla situazione italiana il “Next Generation Plan – EU” varato dalla Commissione Europea. E’ articolato in 6 Missioni e 17 Componenti, da attuarsi tramite riforme, programmi e progetti, con una dotazione finanziaria complessiva di circa 220 Mld di euro.
Si tratta di un piano di una entità economica mai vista prima nel nostro Paese, quindi di portata strategica, ma è subordinato al rispetto di regole, tempi e contenuti che richiedono comportamenti – soprattutto da parte delle Amministrazioni pubbliche – affatto diversi da quelli abituali, per cui la scommessa è molto alta e per vincerla sarà necessario mettere in campo un meccanismo di governance particolarmente snello ed efficace.
Ciò detto cerchiamo qui di capire in quale misura e con quali contenuti trova spazio all’interno del PNRR quella particolare modalità di intervento sul territorio che va sotto il nome di Rigenerazione urbana.
Il riferimento prioritario si trova nella misura M5C3 – Parità di Genere, Coesione Sociale e Territoriale, tuttavia la natura strategica che caratterizza la rigenerazione urbana implica che essa venga applicata traguardando anche altre missioni, componenti e programmi in cui il piano è articolato, in particolare: Housing sociale (ancora in M5C3) e Borghi, Periferie urbane, Turismo, Edifici di culto (in M1C3 – Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e Cultura). Complessivamente si tratta di circa 3.0 Mld di euro, vale a dire una somma con cui si può costruire un efficace programma di azioni.
2. Per entrare nel merito occorre prendere atto che il patrimonio al quale fa riferimento la rigenerazione urbana (anche se su questo termine permangono ancora molti fraintendimenti) è costituito dall’insieme delle aree e dei manufatti che, per le ragioni più varie, hanno perso la loro funzione originaria e sono stati dismessi, abbandonati, creando situazioni di degrado, pericolosità, inquinamento, il che costituisce spesso un problema per le Amministrazioni nei cui territori ricadono.
La dimensione di questo patrimonio dismesso è tutt’altro che trascurabile: gli edifici (tra cui scuole, ospedali, carceri, impianti sportivi) sono quasi 1.0 milione; i siti militari (caserme, poligoni, depositi, aeroporti, arsenali, alloggi) assommano a 5.000; le stazioni ferroviarie sono 1.700; quasi 3.000 le miniere e molto altro ancora.
L’entità di questi dati fa capire che il punto di vista che si dovrebbe assumere è quello di considerare questo patrimonio non un gravame che si è costretti a subire, ma una risorsa che può essere messa in gioco per migliorare la qualità delle città, del territorio e dell’ambiente e per aprire un vasto campo di intervento ad un mercato e ad una imprenditoria da tempo in crisi, come quello dell’edilizia.
In questa logica un’attenzione particolare va riservata alle aree industriali, che nel complesso assommano a quasi il 3% dell’intero territorio nazionale, contando al loro interno circa 130.000 fabbricati, perché è nell’ambito di questa tipologia di patrimonio che si trovano le maggiori e più inquietanti “ferite aperte”.
Il caso più eclatante è certamente quello dello stabilimento Italsider di Bagnoli, la cui vicenda si dipana ormai da oltre trenta anni con un susseguirsi di malversazioni, incompetenze e sperperi di denaro pubblico, culminati in aggressioni ad un ambiente e ad un paesaggio di enorme valore, oltre ad aver creato una drammatica vicenda sociale con la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Ma potremmo ricordare la Pertusola di Crotone da oltre venti anni, l’Elettrochimica di Papigno-Terni dismessa da quaranta, la Fiat di Termini Imerese chiusa nel 2011, per citare solo alcuni dei casi più emblematici ai quali, peraltro, sono sempre collegate interminabili vicende giudiziarie.
3. A fronte di questa situazione sarebbe inconcepibile non cogliere l’occasione del PNRR per avviare processi di rigenerazione urbana, sul modello di quanto è stato fatto in molti Paesi europei: intere città come Bilbao, Glasgow, Manchester e territori estensivi come la Ruhr; quartieri come lo Speicherstadt ad Amburgo, Vauban a Friburgo, Ile Seguin a Parigi; edifici come il Batter Sea Power Station a Londra e la Centrale Montemartini a Roma; scali ferroviari come Europaviertel a Francoforte, City Batignolles a Parigi e la Sagrera a Barcellona. Tutte situazioni di dismissioni, di decadenza, di degrado e di crisi di varia natura, ognuna delle quali è stata riportata a nuova vita in un ragionevole arco di tempo.
In questa direzione qualche suggerimento è possibile dare per una migliore messa a punto del percorso che nei prossimi mesi dovrà tradurre le indicazioni generali del PNRR in linee di azione e precisi interventi:
a) La creazione di una banca dati basata su un sistematico rilevamento del patrimonio dismesso, vale a dire un sistema informativo da cui si possa avere cognizione dettagliata delle caratteristiche e soprattutto della disponibilità del patrimonio in disuso e abbandonato. In particolare, a livello locale, va avviata una ricognizione del patrimonio dismesso mettendo in evidenza gli immobili di proprietà pubblica situati all’interno o nel più stretto intorno dei centri abitati.
b) L’avvio di percorsi formativi per le diverse figure che andranno ad inferire con questa tipologia di progetti: gli stessi soggetti proponenti, poi tecnici comunali, professionisti e imprenditori, tutte figure che non è scontato posseggano già le competenze necessarie per la conoscenza del patrimonio dismesso nonché per la progettazione, realizzazione e gestione degli interventi rigenerativi.