Sarà a giorni in libreria, per i tipi di Flavius Edizioni, “POMPEI – Misteri del Tempio di Iside – Le radici liquide della Terza Pompei” di Federico L.I. Federico. Un libro eretico senza blasfemia che vuole riscrivere la storia di Pompei e quella della sua scoperta, ci ha detto l’Autore. Ma forse questo libro è anche altro.
L’architetto Federico, professionista e studioso di Pompei tanto noto quanto radicato nella comunità cittadina e in quella scientifica, ha infatti scritto un racconto. La narrazione fluida e gradevole, spesso avvincente, di un percorso di conoscenza, di indagine, di ricerca. In un quadro analitico che apre scenari inediti, almeno per i non addetti ai lavori, offrendo angoli visuali differenti e visioni prospettiche intriganti. Pone domande, solleva dubbi, suggerisce possibili risposte. Senza alcuna pretesa di sapere con esattezza come siano andate veramente le cose, chi sia l’assassino per così dire. Ma con la convinzione, che convince anche il lettore, che non tutte le domande siano state poste. Che non tutte le risposte siano state trovate. Che la ricerca non può dirsi conclusa.
La tesi di fondo è che la versione ufficiale della storia di Pompei, quella “togata” come ama ripetere Federico, sia sostanzialmente carente, se non addirittura sbagliata. Alla Pompei del Santuario, la più recente, alla Pompei degli Scavi, quella della romanità assoluta, va aggiunta una Terza Pompei: quella preromana, la Pumpeja campana poi Pumpaia osca, “immanente sul territorio”. Che non è né quella archeologica né quella religiosa ma che resta da esse inestricabile e che le ha in effetti, misconosciuta, determinate.
Ma perché le sue radici sono liquide? Perché “l’acqua rimane la protagonista della sua storia”: il Sarno. Il Canale Sarno, “acquedotto che passa pel Tempio d’Iside”. La “vicinanza fisica delle acque del fiume Sarno alla murazione osca”. Il Sarno come elemento per certi versi divisivo del territorio ma fondante dell’insediamento pompeiano originario.
E perché mai la Pompei preromana, “campana, osca, sannita”, sarebbe stata di fatto vista dalla storiografia ufficiale come contrapposta a quella romana? In qualche modo riecheggiando quanto accaduto per il carattere borbonico del Mezzogiorno rispetto alla sopravvenuta italianità, per usare una suggestione (forse un po’ ardita) dell’Autore? Perché “l’Italia prima liberale e poi fascista ebbe altre priorità. Non certo la ricerca archeologica preromana, ma piuttosto la celebrazione internazionale di quella romana”. Successivamente si è riscontrato l’intendimento di andare oltre, ma non basta. Permane una “archeologia togata, ministeriale e romanocentrica”, motivo per cui questo libro si propone di “fungere da miccia di un più vasto incendio, che bruci ogni residuo velo farisaico disteso sulle verità nascoste dall’Archeologia togata in epoche risalenti”.
Vedremo se questo obiettivo sarà raggiunto. Ma certamente l’Autore riesce a catturare l’attenzione del lettore sul suo racconto poliedrico di grande interesse. Per un tecnico del settore, che vi trova dati e analisi, collegamenti e citazioni che effettivamente spingono verso un approfondimento scientifico della problematica sollevata. Così come per i non addetti ai lavori, che nella narrazione scorrevole, fluida, accattivante, che procede avvincente fra collegamenti temporali e causali, riescono agevolmente a scoprire una Pompei nuova e diversa rispetto a quella che hanno imparato nel tempo a conoscere. Questo è di per sé un grande merito. Porre domande comprensibili alla gente significa dare un contributo concreto al territorio.
Alla fine, ci siamo autocitati. Abbiamo praticamente ricordato il titolo del nostro giornale, Gente e Territorio, con il quale l’Autore collabora stabilmente. Lo abbiamo fatto perché nel suo libro c’è anche in un certo senso il nostro, infinitesimale, contributo. Federico infatti ripropone, rivisti e attualizzati, alcuni suoi articoli pubblicati su vari giornali. Tra questi anche il nostro, dall’inizio del 2019 ad oggi. Grazie Federico.