<<… ritengo palesemente amici degli eretici coloro nei cui libri (anche se essi non offendono palesemente l’ortodossia) gli eretici abbiano trovato le premesse onde sillogizzare nel loro modo perverso>> [sottolineatura mia].
L’inquisitore Bernardo Gui, al termine del processo sommario con cui condannava al rogo il cellario Remigio da Varagine e lo sguattero Salvatore da Monferrato, illustrava così agli smarriti monaci dell’abbazia de Il nome della Rosa le ‘motivazioni’ della sentenza: si può evincere con certezza la dolosa eresia di un imputato dall’aver egli scritto o pronunziato delle parole non perseguibili alla lettera, perché ortodosse, eppure foriere indirettamente di ragionamenti ereticali.
Succede spesso che in nome della verità, o della sua presunzione, si perseguano come reati le opinioni che ne dissentono apertamente. E poi quelle dubbiose. Ed infine che si sospetti anche delle parole di chi la accetta, ma non con la ricercata, necessaria fermezza.
Tornano alla mente le ‘motivazioni’ di Bernardo Gui leggendo l’art. 4 del ddl Zan, approvato lo scorso 5 novembre alla Camera ed ora in attesa di esame nell’aula del Senato. Testuale:
<<Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti>> [anche qui: sottolineatura mia].
Non si sa se sia intenzionale o involontario il carattere beffardo del titolo di detto articolo 4: <<Pluralismo delle idee e libertà delle scelte>>. Si ‘fa salva’ la libertà dell’espressione dei propri convincimenti – ma va! – per poi subito mettere in guardia dall’esprimerli, perché si potrebbero insinuare nella mente di chi li legge o li ascolta perversi sillogismi che alla fine inducono alla violenza omofobica.
Non siamo qui a discutere del merito del DdL Zan. La realtà è sotto gli occhi di tutti, le cronache ci raccontano con cadenza pressoché quotidiana di violenze o discriminazioni di cui sono fatti oggetto persone omo o trans sessuali. È perciò del tutto ragionevole introdurre delle aggravanti per chi commetta reati connessi all’omofobia. La libera scelta dei propri orientamenti sessuali e finanche quella al cambiamento all’anagrafe del proprio sesso sono acquisizioni irreversibili nella nostra società aperta. Giustissimo affermarlo con forza e codificarlo. E opportuno alzare la soglia delle sanzioni per chi pretende di negare agli altri tali libertà con atti violenti o discriminatori.
Ma ci sarà pure la libertà di affermare in modo non offensivo i concetti tradizionali riguardo agli orientamenti sessuali? O nel sostenerli si diventa ipso facto perseguibili penalmente perché indirettamente si incita alla violenza?
Attenzione, inneggiando alla liberté due secoli fa in Francia furono mozzate le teste di circa ventimila citoyens colpevoli di averci creduto e che nientedimeno avevano osato praticarla.
Ecco, dunque, l’allarme della Presidenza della C.E.I. del dieci giugno dello scorso anno non va per niente sottovalutato:
<<… un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione […]. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso>>. [Presidenza CEI, 10/06/2020]
Difficile darle torto.