Ricordate i vecchi sceneggiati Rai, quelli che da bambini ci tenevano incollati al video e creavano una spasmodica attesa per la puntata della settimana successiva, senza nessuno che spoilerasse? Stiamo parlando della televisione anni ’60 che affrontava con zelo e competenza il compito educativo che si era assunto e che la politica stessa le aveva assegnato. Non solo sceneggiati tratti dai grandi romanzi: La cittadella, Il mulino del Po, I Promessi Sposi, I fratelli Karamazov, L’idiota. Ma anche sceneggiati (e non fiction) che insegnavano, ad esempio, il nostro Risorgimento anche attraverso la vita dei protagonisti: Il re (su Carlo Alberto), Vita di Cavour, Ottocento (tratto dai romanzi di Salvator Gotta), storie che insegnavano la Storia. Anton Giulio Majano, uno dei padri nobili di questi prodotti televisivi, diceva: Ai venti milioni di telespettatori ammannisco uno spettacolo degno di questo nome, diciamo pure un pranzo luculliano, dall’antipasto al Saint Honoré finale. Il pubblico lo sente e mi ama
Attenta e rigorosa sceneggiatura delle vicende, cura dei dettagli, attori provenienti dal teatro, chiara finalità pedagogica. Un mix perfetto. Sedimentato nei nostri ricordi se, ancora adesso, parlare del Giornalino di Gianburrasca di Vamba fa venire in mente la famosa Viva la pappa col pomodoro.
Recentemente sulla Rai è stato trasmesso uno sceneggiato, Leonardo, con caratteristiche esattamente opposte a quelle che abbiamo sottolineato per gli sceneggiati storici: raffazzonato, incredibile, direi un falso storico. L’attrice protagonista ha giustificato le evidenti forzature della realtà con questa affermazione: “Non potevamo fare una rottura di palle”.
Quindi storia uguale rottura. Eppure, quando lo storico Alessandro Barbero sale su un palco e parla per oltre un’ora di argomenti pallosi lo applaudono entusiasticamente e le visualizzazioni sul web sono centinaia di migliaia. Qualcosa allora non torna. Può ancora funzionare la trasmissione del passato per immagini se il prodotto garantisce in primis qualità, correttezza storica e rispetto delle fonti? Forse sì ma bisogna renderla accattivante, andare incontro al gusto degli odierni spettatori che sono ben diversi da quelli degli anni ’60.
E’ iniziata la nuova serie Sky Original Domina sulla figura di Livia Drusilla, moglie per 51 anni di Ottaviano Augusto. Una donna al centro della vicenda tra le più affascinanti del mondo romano: la costruzione del potere personale di Augusto con il progressivo svuotamento di valore della res publica. Il politically correct è servito: considerare Livia, una donna, come l’imperatore più potente di Roma è certamente un’idea moderna per raccontare l’Urbe. Un periodo, quello a cavallo tra il I sec. a.C. e il I d.C., di intrighi di palazzo ma anche di vicende fortemente segnate da scontri tra personaggi titanici. La Storia c’è. Già Tacito presenta Livia nei suoi Annali come una donna di grande influenza. Il suo controllo su Augusto era talmente forte che lo convinse ad esiliare il suo unico nipote naturale rimasto nonché erede, Agrippa Postumo, in modo da liberare il campo per Tiberio, il figlio avuto dal primo marito. Complotti, sangue (tanto), sesso (tanto) ma va bene anche così se il pubblico segue ed impara. I costumi sono molto raffinati, opera del premio Oscar Gabriella Pescucci. Le sequenze veloci ma sufficientemente dialogate perché i rapporti di potere e di affetto appaiano chiari. I flashback esplicativi delle motivazioni alle spalle di certe scelte. Insomma, un buon prodotto con attori inglesi e italiani tra cui spicca anche Isabella Rossellini. Vedremo se riuscirà ad interessare i più giovani, se magari li invoglierà ad andare a vedere la casa di Livia sul Palatino. Situata accanto ai resti delle capanne dell’epoca di Romolo, area fortemente simbolica, legata alle fasi più antiche della città, cui il nuovo princeps, Ottaviano, voleva idealmente collegarsi, proponendosi come nuovo fondatore della città.
Senza Livia, Gaio Giulio Cesare Ottaviano non ce l’avrebbe fatta a diventare Augusto. Di lei non abbiamo voce diretta, come sempre le donne nella storia sono costrette al silenzio, ma per lei parlano gli ambienti dipinti con raffinatezza e l’immagine che volle incarnare: una matrona dignitosa, parsimoniosa, dedita alla casa (si narra che cucisse personalmente gli abiti di Ottaviano), ma capace di gestire gli affari più e meglio del marito. Historia docet.
P.S. Ma la Livia eterna fidanzata del commissario Montalbano potrebbe essere una diretta discendente dell’altra? Camilleri era un grande conoscitore di storia oltre che sceneggiatore Rai. Chissà!